Convivenza sotto l'albero

di Michele Pasquale

Italia Caritas – febbraio 2015  

Come possono convivere quattro religioni, undici lingue e altrettante etnie in pochi chilometri quadrati? Guinea Conakry, «terra ricchissima, popolata da una popolazione maledetta», intona un proverbio locale.

N’Zérékoré (Nze), cittadina della regione forestale, è sunto di questo complesso nodo di convivenze, scontri e ricerca di soluzioni. La «maledizione» che affliggerebbe tale territorio, ricchissimo di risorse naturali fagocitate dalle multinazionali che lasciano la popolazione in una immutabile, estrema povertà, è non solo avvalorata dal fatto che da qui ha avuto origine l’epidemia di Ebola che sta allarmando l’intero pianeta, ma risiede appunto in questo groviglio. Solo apparentemente inestricabile.

Con un traballante fuoristrada di Ocph (Organisation catholique pour la promotion humaine) raggiungiamo, attraverso una dissestata pista di terra rossa battuta, la periferia della cittadina per assistere a un importante incontro tra leader religiosi. Nel quartiere Nyean Kpama II l’incontro si svolge nel quadro di un’iniziativa avviata da Catholic Relief Service (Crs) e Ocph, in collaborazione con Caritas Italiana. È in quartieri come questo che ogni giorno vivono fianco a fianco musulmani, cristiani, animisti, nonché le etnie Konianké, Malinké, Peulh, Soussou, Toma, Guerzé (Kpèlè), Manon, Kissien, cui si aggiungono i rifugiati da Liberia, Sierra Leone, Costa d’Avorio, Mali.

 

Tribunale dei saggi

Svoltato l’angolo, numerosi moto-taxi sono parcheggiati all’ombra degli alberi ove corrono bambini scalzi, vestiti di stracci, accanto a polli, capretti, roditori chiusi in gabbia, gruppi di donne che parlano, uomini appoggiati alle selle dei motocicli, avvolti in una grande nube di polvere rossa che volteggia nell’aria. Al centro del grande cortile, sotto un antico albero di mango, decine di persone sono pronte a discutere, a cercare una soluzione agli scontri avvenuti negli mesi precedenti, nella speranza che non si ripetano. Si chiama Arbre à Palabres, l’»Albero delle discussioni»: una riunione finalizzata a risolvere un conflitto interno alla comunità, una tavola rotonda mirata a far emergere una decisione per mezzo di un’assemblea di «saggi».

Nella notte tra il 14 e 15 luglio 2013 (e giorni seguenti), un presunto tentativo di furto in una stazione di rifornimento a Koulé, sotto-prefettura situata a 40 km da Nze, aveva portato all’uccisione del sospetto ladro, di etnia konianké, da parte del proprietario della stazione, di etnia kpèlè. La popolazione konianké ha reagito agli avvenimenti bruciando la pompa di benzina e rovinando l’attività del sospetto omicida. Ciò ha innescato una spirale di violenza, che si è presto trasformata in scontro religioso, con seguente messa al rogo di templi, chiese e moschee. Dati locali parlano di 95 morti e ben 3.658 rifugiati.

I fatti restano da chiarire, i colpevoli da individuare. Ma necessari sono certamente interventi rapidi, per evitare ulteriori stragi. Cominciando da una puntuale, non parziale ricostruzione di quanto accaduto, per indicare vie di riconciliazione. E dai terribili ricordi di quegli avvenimenti, narrati da diversi cittadini: spesso si preferisce il silenzio, ma esso è rotto da particolari che fanno breccia, rendendo chiara la portata della tragedia. Inoltre ci si interroga: come è possibile che un regolamento di conti tra individui di diverse etnie sia divenuto una questione religiosa che ha coinvolto le istituzioni politiche?

Strategie, collaborazioni e soluzioni non possono che passare attraverso la mediazione dei locali, influenti capi religiosi. La proposta di dialogare fianco a fianco, andando oltre le differenze religiose, etniche, storiche e politiche, nasce da un prete cattolico, abbé Henry Loua, un iman musulmano, El Hadj Ibrahima Sacko, un pastore protestante,  pasteur Maurice Zogbelemou. A queste figure si aggiungono un mediatore culturale, Cécé Fulbert Zogbelemou, incaricato di presentare metodi di prevenzione e risoluzione pacifica dei conflitti, e il responsabile del progetto Ocph, Paquile Robert; infine, un traduttore locale, fulcro della

comunicazione tra i partecipanti. Lo scopo dell’Arbre è dare un «buon esempio», andandosi a sostituire alle istituzioni ritenute assenti, corrotte, disinteressate: «Dove sono i politici ora?», ripetono in coro i cittadini.

L’idea alla base dell’Arbre in fondo è semplice: riprendere i tribunali tradizionali presieduti dagli anziani dei villaggi, per risolvere le diatribe villageoises utilizzando il dialogo come potente mezzo risolutivo. Parallela a

quest’opera sul territorio, vengono trasmessi programmi radiofonici e televisivi dedicati, che trasmettono numeri di telefono ai quali il pubblico può inviare la propria opinione. Importante, inoltre, è la formazione di

cento «ambasciatori di pace», pronti a gestire situazioni di conflitto.

 

Le noci dei cugini

Le assemblee dell’Arbre si innestano in una quotidianità fatta di incontri, scontri e rivalità, costituendo un’avanzata iniziativa di risoluzione dei conflitti. Altra pratica ripresa dalla tradizione è quella denominata Cousin à Plaisanterie: la soluzione di un problema viene affidata alla mediazione di cugini che, presentando simbolicamente delle noci di cola, ricordano l’importanza dell’alleanza famigliare che unisce le parti. Appellarsi a quel legame è sufficiente per considerare un problema molto grave risolvibile in quanto passeggero, «terreno», pensando a «ciò che verrà» e lasciandosi alle spalle ogni rancore.

La valorizzazione di metodi «tradizionali» è una strategia pragmatica, che poggia su una quotidianità vissuta per le strade, nelle baracche di legno che fungono da negozi di scatolame, pesce e uova grigliate sul carbone, e nel grande mercato locale. È soprattutto in quest’ultimo luogo che la convivenza diviene complessa: esso è simbolo dell’incontro e della contrattazione, ma è anche luogo in cui emergono differenze, motivi di scontro, una sorta di palcoscenico in cui si svolgono le «prove generali» di una difficile convivenza in un territorio segnato da presenze tanto eterogenee.

«Il sentimento di superiorità Peuhl, parte etnica maggioritaria, è una scintilla che può accendere un focolaio – commenta l’abbé Henri Loua –, il quale sarà seguito da rappresaglie, vendette, regolamenti di conti». Inoltre, il secco rifiuto opposto dalla Guinea all’ingerenza coloniale si è tramutato oggi in diffidenza verso tutto ciò che è «occidentale», «bianco» e dunque «ricco», «ingannevole», «straniero»: ciò è causa di una grande difficoltà nel creare rapporti lavorativi e personali sul campo. E così altre forme di ipocrisia e menzogna, altre incrostazioni negative (sentimenti di superiorità, conflitti irrisolti) guastano le relazioni personali e sociali: la società guineana ha estremo bisogno di attingere dalla sua tradizione vie praticabili di mediazione e purificazione.

Sulla via del ritorno, le bancarelle del mercato, ancora affollato all’ora del tramonto, suggeriscono riflessioni utili e fruttuose, preziose chiavi di lettura.  Abbé Henry Loua osserva che «non tutti possono essere cristiani o musulmani. Comprenderlo è questione di cultura personale. Ci vuole flessibilità nel capire che non tutti abbiamo la stessa formazione. Per me è già un grande passo riunirsi e lavorare insieme». Quanto alle possibili soluzioni di conflitti «micro» che possono sfociare in violenze «macro», il sacerdote ritiene che «anche dire poche semplici parole, «mi dispiace», è un inizio. Può essere una grossa occasione per

ricominciare. Non ci sono errori che non si possono regolare, aggiustare. Tutte le parti in gioco, dalla scuola alla chiesa alle autorità al quartiere, devono però essere implicate».

L’impressione generale che emerge è una reale volontà di provarci, di fare un piccolo, grande passo, che forse darà avvio a cambiamenti decisivi. Il rischio che attività simili, in zone di conflitto, siano condannate a

un fallimento che potrebbe produrre ulteriori divisioni, è evidente. Ma le parole del giovane imam sono un ritornello che incoraggia a non disertare la strada del cambiamento: «Occorre dire la verità, occorre cercare la verità. E io lo voglio per primo».

26 Febbraio 2015 | 18:01
Tempo di lettura: ca. 4 min.
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