Svizzera

Spunti per un (vero) dibattito sul matrimonio omosessuale

Assieme a temi etici troppo presto accantonati e risolti (in un unica direzione) come quelli attorno ad aborto ed eutanasia, il dibattito sull’omosessualità e sulle questioni a essa connesse – matrimonio e adozione – è forse tra i più caratterizzanti la nostra epoca, e perciò stimolante sia sotto il profilo antropologico che etico-culturale. Soluzioni e possibilità che soltanto una trentina di anni or sono raccoglievano pochi consensi dividono oggi l’opinione pubblica, e spiace constatare come spesso, soprattutto sul fronte libertario, i toni si inaspriscano fino al punto di boicottare aziende ree di essere capitanate da persone con opinioni opposte. Il recente confronto suscitato dalla votazione del prossimo 26 settembre in Svizzera, intitolata in modo semplicistico Matrimonio per tutti e sostenuta da uno slogan ancor più superficiale («Sì, lo voglio»), non fa purtroppo eccezione. Il ritorno a un più pacato confronto, basato magari su alcune solide categorie filosofiche, potrebbe quindi aiutare a leggere la reale portata delle questioni poste sul tavolo.

Desiderio, diritto, limite, possibilità: soltanto sciogliendo il nodo che lega questi termini, a partire da una lucida messa a fuoco dei loro significati, sarà possibile infatti intavolare un dibattito degno di tale nome. Come il desiderio diventi diritto e infine legge, e come il limite venga sovente accerchiato (mai annullato) dalle possibilità della tecnica e della scienza sono due aspetti del medesimo problema che si incarnano, iconicamente, nella figura triste di Oscar Pistorius. Triste non solo per la conclusione criminale della sua parabola, ma triste dall’inizio, come è triste ogni desiderio frustrato da un limite oggettivo – l’impossibilità di correre come tutti gli altri – che le protesi hi-tech avevano aiutato a superare senza cancellare del tutto. La sua ambizione di poter gareggiare a fianco dei normodotati ne ha fatto il paladino di una filosofia dell’anti-limite, dello «yes you can», dei padri che dicono ai figli (sapendo di mentire) «non permettere a nessuno di dirti quello che puoi o non puoi fare». Abbracciare questo credo, una delle infinite sfaccettature del politicamente corretto, significa cancellare la natura di per sé tragica del desiderio, perché sempre confrontato a limiti che sono insiti nella realtà delle cose. Non si chiede di non desiderare – è una delle espressioni più alte dell’essere umano – ma di continuare a farlo nella consapevolezza dei propri limiti, conoscendoli per quello che sono. La sterilità di una coppia gay, dalla quale non nascerà mai un figlio generato da entrambi e soltanto da loro, è un limite ontologico che non andrebbe confuso con il limite (accidentale, avrebbe detto Aristotele) di una coppia eterosessuale non fertile. Anche da qui dovrebbe partire il dibattito attorno alle adozioni, per non illuderci che la scienza abbia cambiato lo statuto ontologico di una condizione che continua a essere «limitata».

La necessità di un dibattito attorno a questi temi è tanto più stringente se si pensa alla velocità con cui avanzano le ricerche di laboratorio, e parimenti alla sbrigatività con cui si chiudono, senza veramente affrontarle, questioni etiche di importanza capitale per il futuro dell’essere umano. È curioso che in un’epoca così attenta alla dimensione ecologica, agli OGM e ai diritti degli animali – lo sottolinea Benedetto XVI nel suo ultimo libro, La vera Europa, richiamandosi alla sacralità della vita – parte dell’opinione pubblica sorvoli con leggerezza su quanto avviene lungo le frontiere della ricerca genetica: la nostra specie è forse, da questo punto di vista, tra le meno protette al mondo. I desideri dei singoli e le possibilità della scienza aprono prospettive che tristemente ricordano gli esperimenti del dottor Frankenstein, anticipano una società fatta di eugenetica e di manipolazione delle parole (nell’illusione che la realtà sia un’altra), due pericoli sui quali hanno provato ad allertarci gli scritti di George Orwell e di Aldous Huxley e dei quali ci siamo purtroppo dimenticati. Camminiamo sulle scintillanti protesi che ci siamo costruiti con le nostre mani.

di Pietro Montorfani

16 Settembre 2021 | 11:04
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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