Ticino e Grigionitaliano

Quando San Carlo Borromeo a dorso di un mulo rendeva visita alle terre elvetiche

La storia dei rapporti di San Carlo con la Svizzera italiana potrebbe facilmente identificarsi con un episodio che riguarda la piccola finestra, fatta aprire dal cardinal Federico Borromeo dopo il 1608 (senza troppi complimenti) in una delle pareti affrescate più belle di queste terre, nell’abside tardogotica di Negrentino. La monofora originaria non garantiva luce a sufficienza verso l’altare e ne fecero le spese due dei dodici apostoli (Tommaso e Taddeo) attribuiti ai Seregnesi, subito sostituiti da due rustici Sant’Ambrogio e San Carlo dipinti nel vano della nuova finestra. In questo episodio sta tutta l’identità ambrosiana della Lombardia svizzera: Carlo Borromeo, cugino del cardinale, sarebbe stato canonizzato di lì a poco (1610) e si apprestava a sostituire Ambrogio (1700) nella titolarità della chiesetta di Prugiasco.

I luoghi toccati dalla presenza del Borromeo in Ticino

Non finisce di stupire la precoce reattività con cui le Tre Valli, la Capriasca, Brissago e persino le pievi storicamente soggette alla diocesi di Como (ad esempio il convento di Santa Maria degli Angeli a Lugano) hanno saputo accogliere e favorire il culto di San Carlo, che pure aveva dovuto penare le sue fatiche nelle numerose visite che lo avevano visto protagonista tra il 1567 e il 1584. Una realtà politica in divenire, potentati transalpini, landfogti protestanti, comunità locali disaffezionate e litigiose, presbiteri di cui vergognarsi: non erano mancate le grane, né i dislivelli.

Per le Valli, a cavalcioni di un mulo

L’immagine del cardinale Carlo Borromeo a cavalcioni di un mulo, ricorrente nei cicli di affreschi sulla sua vita, nei cosiddetti «quadroni» del duomo di Milano o ancora nei Nonnulla praeclara gesta di Cesare Bonino (un best seller illustrato dell’epoca), non è mai stata così vera come per le sue visite in terra elvetica, durante le quali toccò l’ospizio del San Gottardo, Altanca, Mesocco, la Val Pontirone, gli ultimi avamposti della Val Calanca, il passo San Lucio, sempre scendendo a valle e sempre risalendo in quota, riducendo al minimo le assenze coperte da vicari.

400 anni di oratori, altari, cappelle

In alcuni casi trovò la porta chiusa, in altri spalancata e non risparmiò energie né con i primi né con i secondi. Aneddoti e miracoli si rincorrono per tutte le valli della Svizzera italiana, dal mancato annegamento di Iragna (lo ricorda una lunetta nella chiesa di Gnosca) alla guarigione di una ragazzina in una casa di Taverne. Persino i dati nudi e crudi delle statistiche demografiche testimoniano che qualcosa è successo: il nome Carlo, praticamente assente nei registri di battesimo del XVI secolo, passa ben presto nelle prime posizioni e le prealpi si popolano di oratori, altari, cappelle e confraternite a lui dedicati. Nel 1984, per i quattrocento anni dalla morte, una pubblicazione voluta dalla Diocesi di Lugano assieme al «Giornale del Popolo» tentò un primo censimento, rimasto purtroppo incompleto.

Il Convegno luganese, tra passato e prospettive future

Tornare a parlare oggi di Carlo Borromeo, come ci stimola a fare il convegno promosso all’USI dall’omonima confraternita in collaborazione con la Facoltà di teologia, significa porre sul tavolo la lunga storia di questa amicizia, con la libertà di sollevare anche questioni spinose legate all’attualità del suo messaggio o allo stato «ˆ’ un po’ dormiente «ˆ’ delle ricerche attorno alla sua figura nei suoi rapporti con la Svizzera italiana (fa eccezione una pubblicazione recente sulla fondazione del Collegio Papio di Ascona di Lorenzo Planzi).

Gli studi su San Carlo, «un cantiere da riaprire»

Nei secoli non sono mancati i grandi cultori del mito di San Carlo, dal prevosto Giovanni Basso (1552- 1629) da lui quasi adottato in occasione della sua prima visita, portato a Milano in seminario e rimandato di nuovo a Biasca a mettere ordine, fino a don Paolo D’Alessandri che sul finire dell’Ottocento ne raccolse l’eredità pubblicando poi i cosiddetti Atti di San Carlo riguardanti la Svizzera e i suoi Territori (1909). Un’operazione pionieristica e meritevole, quest’ultima, di cui però già padre Callisto Caldelari e don Giuseppe Gallizia avevano mostrato tutti i limiti filologici. Una ricognizione all’archivio diocesano di Milano e alla Biblioteca ambrosiana, dove si conservano le carte dei Borromeo, non ha potuto che confermarci in questa ipotesi e nella convinzione che quel cantiere vada riaperto, magari per tappe, e in stretta collaborazione con studiosi d’oltreconfine. San Carlo figura europea: il convegno luganese che si inaugura martedì punta a un orizzonte ampio, alla sua fortuna in terra anglosassone, alla sua persistenza nel mondo di oggi. Una finestra che si apre, anzi, che non si è mai chiusa.

Pietro Montorfani, responsabile Archivio Storico di Lugano

L’evento scientifico

Dall’11 al 14 febbraio avrà luogo alla Facoltà di Teologia di Lugano (via Giuseppe Buffi 13) il Convegno internazionale, organizzato dalla Confraternita di San Carlo Borromeo, dal titolo «San Carlo figura europea: attualità per il III millennio». Alle ore 10 di martedì 11 la S. Messa con mons. Lazzeri, Vescovo di Lugano, nella cattedrale del Sacro Cuore. A seguire, alle 14.30, la relazione del prof. Apeciti, «San Carlo Borromeo è ancora attuale?». Il 12 febbraio, la sessione del convegno «La vita, le opere, le riforme», con interventi dei professori Marco Navoni, René Roux e Emanuele Di Marco. Il 13 febbraio, invece, la sessione dedicata ai rapporti di San Carlo con la Chiesa cattolica inglese e gallese; interventi dei professori Maurice Whitehead, Paul Bryant Quinn, Sophie Andreae e Alexander Balzanella. Infine, il 14 febbraio, durante la sessione «La spiritualità nell’attualità», gli interventi dei professori Fabiola Giancotti, Manfred Hauke, Pietro Montorfani, Francesco Antonetti e Davide Adamoli. Per informazioni: info@teologialugano.ch.

9 Febbraio 2020 | 12:23
Tempo di lettura: ca. 3 min.
Condividere questo articolo!