Pentecoste 2020: che sia davvero «un nuovo inizio»

di Gaetano Masciullo

Dal 28 maggio, in Svizzera e in Ticino, le funzioni religiose con i fedeli sono state nuovamente consentite. È interessante osservare il parallelismo tra quanto accade nella società e quanto ci propone il calendario liturgico della Chiesa cattolica. Domenica di Pentecoste, cinquanta giorni dopo Pasqua: nasceva la Chiesa, salda sui dodici pilastri degli Apostoli, ispirata divinamente nelle parole, nelle opere e nelle intenzioni. Cosa significa per noi la Pentecoste? Tale festa, com’è noto, fu istituita nell’Antico Testamento. Cinquanta giorni dopo la Pasqua (questo è il significato letterale del nome della festa, ›cinquantesimo giorno’), il popolo ebraico festeggiava – e festeggia tuttora – «il beneficio della legge che era stata data» (S. Tommaso d’Aquino, S. Th. I-II, q. 102, a. 4, ad 10). In ebraico, tale festa è detta Shavuot. Cinquanta giorni, ossia sette settimane dopo Pasqua: sette volte sette, la suprema perfezione, che si realizza nella legge divina.

Anche la nuova Pentecoste, descritta in Atti 2, significa una suprema perfezione. È necessario sottolineare che lo Spirito Santo reca con sé una nuova legge e che nel linguaggio biblico ›legge’ e ›alleanza’ sono termini quasi interscambiabili. È nel rispetto della legge divinamente rivelata che sussiste la fedeltà dell’uomo verso Dio e viceversa. La nuova alleanza, dunque, quella sigillata nella Passione di Cristo, si fonda su una legge, che non abolisce quella antica, ma la compie appunto (cfr. Matteo 5, 17): la nuova legge è la legge dell’amore, che si compendia nella cosiddetta regola aurea: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso» (Luca 10, 27).

Ma come può esserci una legge dell’amore? Sembra quasi un paradosso. L’amore, infatti, – si dice anche comunemente – è cieco, cioè non risponde alla ragione, mentre la legge è qualcosa che per definizione deve far leva su intelletto e volontà. Evidentemente, Cristo ci invita, ancora una volta, a stravolgere il modo di vedere le cose. Non siamo capaci di amare davvero se non è Dio a insegnarci come fare. Nessuno deve insegnarci a compiere il male, ma Qualcuno deve insegnarci a compiere il bene. Nessuno, per esempio, deve insegnarci come si prova invidia, ma Qualcuno deve insegnarci a provare e a vivere la misericordia (si pensi alle quattordici opere di misericordia corporale e spirituale). Si potrebbe allora dire che è il male, l’odio a essere cieco, mentre l’amore è ciò che aiuta la mente a vedere meglio, quasi fosse la luce dello spirito.

Ed è proprio la luce, il fuoco ad essere il simbolo dello Spirito Santo, il vero protagonista di questa solennità, che nella teologia cristiana è detto essere, non a caso, l’Amore stesso di Dio. San Tommaso d’Aquino scrive addirittura che Amore è uno dei due nomi proprî dello Spirito Santo (cfr. S.Th. I, q. 37). L’altro nome è Dono (q. 38). Nella Pentecoste, vediamo la verità di entrambi i nomi e vediamo anche che i due nomi sono collegati. Infatti, la ragione di una donazione gratuita è proprio l’amore. E non è forse l’inizio, il principio, la nascita il dono più grande di tutti? Ciò che ci dà l’occasione (ma anche la responsabilità) di creare qualcosa di meraviglioso? Viviamo dunque questa Pentecoste come un dono, un nuovo inizio per la Chiesa e la società tutta.

30 Maggio 2020 | 12:59
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pentecoste (29), ticino (898)
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