Ticino e Grigionitaliano

La domenica della Divina Misericordia

di Gaetano Masciullo

Il 30 Aprile 2000, Papa San Giovanni Paolo II, in occasione della canonizzazione di santa Faustina Kowalska, istituì la festa della Divina Misericordia e stabilì che tale festa dovesse svolgersi in occasione della prima Domenica dopo Pasqua, tradizionalmente detta in albis vestibus, cioè «in abiti bianchi», perché in epoca antica i catecumeni ricevevano il Battesimo in occasione di questa solennità, indossando vesti di tale colore come simbolo di purezza e rigenerazione.

Questa peculiarità storica ci fa capire quanto la scelta del santo Pontefice polacca non fu semplicemente legata ad una devozione locale, quella di santa Faustina, cui egli era particolarmente affezionato e che volle diffondere dalla Polonia in tutto il mondo, ma a un’esigenza teologica fondamentale: quella di vedere nella Pasqua, cioè nella Resurrezione di Cristo, nella vittoria di Dio sul peccato e sulla morte, una somma manifestazione della stessa misericordia divina. 

Non a caso, già nel Medioevo, alcuni teologi – si pensi a Guglielmo di Auxerre (1150-1231) – avevano visto nel periodo di Quaresima più prossimo alla Pasqua un momento di particolare misericordia, che sarebbe poi proseguito in pienezza nelle domeniche successive: prima della grande riforma liturgica del Concilio Vaticano II, in occasione della terza domenica di Pasqua, il sacerdote saliva all’altare cantando: «Della misericordia del Signore è piena la terra, la sua Parola ha creato i cieli» (Salmo 32, 5-6).

Nel brano evangelico proclamato quest’oggi, la misericordia divina è percepita in più dimensioni. Anzitutto, nella stessa venuta di Cristo: «mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!»» (Gv 20,19). È la dimensione consolatoria della misericordia di Dio, che dissipa le paure e i turbamenti dell’anima per donare la pace vera, quella interiore dello spirito. Dopodiché, il Signore «mostrò loro le mani e il fianco» (Gv 20, 20). È invece questa la dimensione economica o dottrinale della misericordia: siamo consolati e conosciamo il prezzo di questa consolazione, cioè lo stesso sangue di Cristo versato per amore (cfr. 1Pietro 1,18-20). 

Seguono dunque la dimensione missionaria – «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20, 21) – e la dimensione sacramentale della misericordia – «Soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati»» (Gv 22, 22-23) – due dimensioni che non possono evidentemente essere disgiunte senza sacrificare la verità del Cristianesimo. 

L’episodio dell’incredulità di san Tommaso apostolo ci aiuta a vedere la misericordia divina da una prospettiva diversa. La prima parte del vangelo, infatti, può essere letta come un percorso che va da Dio verso l’uomo. Ma quali sono le tappe che l’uomo deve compiere verso la misericordia divina? Tommaso è incredulo perché non ha toccato: «[S]e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20,25). Quando Gesù compare tra i Dodici la seconda volta, alla presenza di Tommaso, egli lo invita a toccare le piaghe, ma a questi basta vedere i segni della Passione per credere. Toccare, vedere, ascoltare: è il cammino ascensionale verso la fede, che nasce dall’ascolto della Parola. Per questa ragione, Cristo ammonisce: «Beati coloro che pur non avendo visto, hanno creduto» (Gv 20, 29).

10 Aprile 2021 | 13:14
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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