In Cristo le attese di compimento della storia di salvezza

Il brano del vangelo proclamato domenica 4 ottobre – XXVII domenica del tempo ordinario – ci parla ancora una volta di una vigna. Abbiamo già visto come la vigna sia il simbolo della Chiesa, cioè della comunità dei credenti, prefigurata nel popolo di Israele (Is 5,7). E infatti la descrizione della vigna che Gesù fa nella parabola odierna ricalca la descrizione che ne fa Isaia nella prima lettura: «Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino» (Is 5,1b-2a). Inoltre, Gesù si rivolge ai sacerdoti e agli anziani del popolo, a coloro cioè che dovrebbero rappresentare le autorità spirituali e morali di Israele.
Ecco dunque che si parla di un uomo – cioè Dio – che possiede un terreno – cioè il mondo, ma anche in modo particolare la comunità degli uomini, che come abbiamo visto per altre parabole, viene spesso raffigurata nel linguaggio di Gesù con la metafora del terreno, l’elemento da cui Adamo fu tratto secondo il racconto di Genesi. In questo terreno, l’uomo erige una vigna: cioè, tra tutti gli uomini, Dio elegge Israele come popolo privilegiato. Isaia e Gesù ci dicono che la vigna è munita di una siepe che la circonda, una torre e un torchio (o tino, secondo la traduzione del testo di Isaia): che cosa rappresentano? Secondo i Padri della Chiesa, la siepe rappresenta la protezione che lo stesso Dio garantisce ai suoi prediletti: una protezione apparentemente debole, come una siepe fatta di arbusti, ma efficace. La torre invece rappresenta «l’altezza della Legge, che partendo dalla terra doveva portare al cielo e dalla quale si poteva vedere la venuta di Cristo» (Giovanni Crisostomo). Il torchio o tino rappresenta per alcuni «il posto delle libazioni» (Origene), cioè l’aspetto liturgico e sacrale, con il quale custodire nell’attesa un cuore puro.
Ecco dunque che, quando arriva il periodo della raccolta, cioè il tempo propizio per la redenzione dell’umanità, Dio invia a Israele per ben tre volte suoi emissari. Egli invia per due volte i suoi servi, ma in entrambi i casi essi vengono catturati: uno viene ferito, come Geremia, un altro viene ucciso, come Isaia, un altro viene lapidato, come Nabot e Zaccaria. Questi servi inascoltati sono dunque i profeti. Il terzo inviato è il figlio del padrone, cioè lo stesso Gesù, che i contadini avrebbero dovuto riconoscere da lontano, salendo sulla torre della Legge costruita in mezzo alla vigna. Eppure, i contadini – pur avendo riconosciuto in Gesù il figlio del padrone – decidono di ucciderlo per avere la sua eredità, cioè per invidia e non per ignoranza.
Gli stessi capi di Israele riferiscono a Gesù quale sarà la fine di quei contadini infedeli: «saranno messi a morte e il padrone darà in affitto la vigna ad altri contadini» (Mt 21,41). L’elezione di Israele si compie e si estende perfettamente così nell’istituzione della Chiesa, che abbraccia tutta l’umanità. L’eredità del figlio viene in effetti distribuita tra i vignaioli: si tratta del terreno, cioè dell’umanità riscattata, comprata a prezzo del sangue di Cristo.

Gaetano Masciullo

4 Ottobre 2020 | 07:17
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