Internazionale

Il prof. Giovanni Ventimiglia su S. Tommaso d'Aquino nel settimo centenario della sua canonizzazione avvenuta il 18 luglio 1323

di Cristina Uguccioni

Dal 28 gennaio di quest’anno al 28 gennaio 2025 la Chiesa celebra il doppio giubileo di san Tommaso d’Aquino, Dottore della Chiesa: ricorre infatti il 7° centenario della sua canonizzazione, avvenuta il 18 luglio 1323, e il 750° anniversario della sua morte, il 7 marzo 1274. Come scrisse Paolo VI nella Lettera apostolica Lumen ecclesiae, il domenicano san Tommaso, che con l’originalità del suo lavoro speculativo ha determinato una svolta decisiva nella storia del pensiero cristiano, «seppe mostrare (…) come si uniscano nel pensiero e nella vita l’assoluta fedeltà alla Parola di Dio e la massima apertura al mondo e ai suoi valori, loslancio dell’innovazione e del progresso e la fondazione d’ogni costruzione sul terreno solido della tradizione». Di questa eminente figura del cristianesimo dialoga con Catholica e catt.ch Giovanni Ventimiglia, professore ordinario di filosofia all’Università di Lucerna, visiting professor di filosofia medievale all’Università di Zurigo, e noto studioso di san Tommaso, cui ha dedicato numerose pubblicazioni (in italiano, tedesco e inglese).

Qual è il valore permanente della dottrina di san Tommaso?

«Una dottrina vale quando è vera. Ora, considerato che san Tommaso ha scritto su quasi tutto lo scibile – non a caso due sue opere si chiamano «summae» – e lo ha scritto nel XIII secolo, è impossibile credere che tutto quello che ha scritto sia ancora vero, quasi fosse, come si diceva una volta, una «filosofia perenne», ossia perennemente vera. Qualche tomista conservatore lo crede ancora ma, francamente, così conserva solo il suo non essere credibile.

Il valore della dottrina di san Tommaso a me sembra consistere nell’atteggiamento di apertura verso tutto quello che di vero vi può essere in qualunque altra dottrina. Ricordo spesso un adagio caro a san Tommaso, che egli a sua volta citava dal cosiddetto Ambrosiaster: «ogni vero da chiunque sia detto viene dallo Spirito Santo». E’ esattamente il contrario di quello che sostengono i tomisti conservatori, che pensano invece: solo la dottrina di san Tommaso è vera e viene dallo Spirito Santo».

Perché, come sottolineava anche Paolo VI, il metodo di san Tommaso è esemplare anche per gli studiosi del nostro tempo? 

«Ci troviamo in una società globalizzata, multireligiosa e multiculturale. Sembra un fenomeno nuovo ma è una situazione molto simile a quella in cui viveva san Tommaso, quando convivevano, specialmente nel Sud Italia, filosofia greca, in particolare quella del «pagano» Aristotele (a quei tempi da poco tradotta a Toledo e a Palermo), filosofia e teologia musulmana, filosofia e teologia ebraica e filosofia e teologia cristiana. Quest’ultima, poi, era totalmente e coscientemente debitrice alla filosofia greca, al pensiero ebraico e a quello musulmano. L’esemplarità di san Tommaso consiste nella sua sincera apertura alle filosofie non cristiane, nella felice loro integrazione nella dottrina cristiana. E questo è tanto più importante oggi, contro ogni forma di chiusura difensiva nei confronti di qualsiasi cultura «altra». Certo, egli era aperto – e questo è un punto decisivo – non già «nonostante» la sua fede cristiana ma precisamente «in forza» di essa: proprio perché era innamorato pazzo di Cristo, che è Verità, era innamorato di tutto quanto di vero egli trovava nelle altre filosofie».

Nella nostra epoca, in Europa, il Signore ha assegnato al popolo di Dio un compito che non è mai stato assegnato prima nella storia: l’annuncio  del Suo Regno a una società istituzionalmente non religiosa. Il pensiero di san Tommaso quale significativo contributo può offrire a quanti accolgono questo inedito, appassionante compito?

«A me sembra, anzitutto, che la società attuale sia sì, istituzionalmente non religiosa, ma anche profondamente fideista. Sette e fedi improbabili – basti pensare ai terrapiattisti – si moltiplicano. È come se la secolarizzazione avesse demolito la risposta religiosa ma non avesse affatto eliminato la domanda, il «bisogno» umano di credere in qualcosa. Conseguenza: pur di credere in qualcosa, gli uomini sono disposti a credere che la terra sia piatta e fondano movimenti, che tanto assomigliano a religioni fondamentaliste, di bigotti adoratori della divinità «Terrapiatta» (e certe volte della Terra tout court). Il contributo di san Tommaso al compito di annunciare il Cristianesimo in società non più religiose (fenomeno peraltro limitato all’Europa e a qualche altro Paese occidentale) è paradossalmente questo: anche quando credete, usate la ragione!

E una società non religiosa ha qualcosa da dire ai tomisti?

«Eccome! I non credenti e gli agnostici hanno qualcosa da dire ai cristiani e in particolare ai teologi, anche quelli tomisti: conservate il senso del mistero! Non proponetevi come gli (insopportabili) specialisti di Dio, presentatevi come coloro che, al modo degli agnostici, sanno di non sapere, piuttosto che come coloro che la sanno lunga su Dio. San Tommaso d’Aquino lo aveva capito bene: quasi alla fine della sua vita ebbe un’esperienza forte, forse mistica, durante una Messa a Napoli. Dopo la funzione egli disse al suo segretario Reginaldo da Piperno: non posso più scrivere, perché tutto quello che ho scritto mi sembra paglia di fronte al mistero di Dio. E da quel momento non scrisse più nulla, lasciando incompiute diverse opere, e fece una sola cosa: predicò in volgare napoletano, sì da farsi capire da tutti. Mi sembra un modo bellissimo per dimostrare che Dio è più grande di tutto quello che possiamo conoscere e scrivere di Lui e che l’unica cosa che resta da fare è servire».

17 Luglio 2023 | 07:31
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