Padre Paolo Dall'Oglio
Papa e Vaticano

«Il mio testamento». Le ultime conferenze inedite di padre Paolo Dall'Oglio curate da Luigi Maffezzoli con la Prefazione del Papa

Un libro, un testamento, e molto di più. Sono le ultime conferenze tenute da padre Paolo Dall’Oglio, oggi raccolte e presto presentate – il prossimo 29 luglio a Roma, a 10 anni dalla scomparsa – nell’importante volume «Il mio testamento» (Centro Ambrosiano Editrice), curato dal giornalista ticinese Luigi Maffezzoli, con la Prefazione, resa nota in queste ore dal Sole24Ore, di Papa Francesco. Padre Dall’Oglio ha fondato la comunità monastica, ecumenica e mista, di Deir Mar Musa in Siria. Per le sue posizioni contro il regime e a favore della pace, spiega l’editore, è stato allontanato dalla Siria nel 2012. Nel 2013 è riuscito a raggiungere Raqqa, sempre in Siria, capitale dell’Isis, per portare avanti il suo impegno per la pace e la riconciliazione. Il 29 luglio è scomparso e da allora non si hanno più notizie. Le conferenze commentano i capisaldi della regola della comunità da lui fondata, facendo emergere la singolarità del suo pensiero.

La Prefazione di Papa Francesco

Con una certa emozione – scrive Papa Francesco – si sfogliano le pagine di questo libro in cui padre Paolo Dall’Oglio commenta la Regola della comunità monastica di Deir Mar Musa; racconta cioè le intenzioni profonde che lo avevano mosso nel far rinascere un monastero siriaco antichissimo, del VI secolo d.C., recuperando la grande tradizione spirituale dei padri del deserto e insieme donandole il senso nuovo di una testimonianza dell’amore di Cristo nel contesto arabo-musulmano.

Mar Musa al-Habashi (San Mosè l’Abissino) era la sua creatura, concepita con tanto amore: queste conversazioni con i suoi confratelli – attorno al significato della Regola – ci trasmettono una grande passione. Uno spirito libero, che rifiuta formalismi e frasi di circostanza; a volte estremo, come lui stesso riconosce con una dose di autoironia. Queste conversazioni svelano anche la profondità della sua visione, il punto sorgivo del suo impegno: «Un monastero nel deserto – spiega con un’immagine suggestiva – è una luce che si vede da lontano, è una fermata sulla strada, una stazione del pellegrinaggio; per noi è come la quercia di Mamre dove Dio diventa nostro ospite e noi diventiamo i Suoi ospiti».

Sono trascorsi dieci anni da quando abbiamo perso ogni notizia di padre Paolo. Con gran coraggio egli aveva cercato nel nord della Siria un contatto con i rapitori di due vescovi, uno siro-ortodosso e l’altro greco-ortodosso, sequestrati poche settimane prima. Poi il buio. Ai suoi familiari e ai suoi amici è stato negato finora anche il gesto di pietà di un corpo restituito, su cui piangere e a cui dare dignitosa sepoltura. Non abbiamo parole per esprimere questo dolore e non siamo in grado di dare un nome e un perché all’odio dei suoi possibili persecutori. Sappiamo però ciò che lui non avrebbe desiderato: incolpare della sua misteriosa e drammatica scomparsa l’Islam in quanto tale; rinunciare a quel dialogo appassionato in cui lui ha sempre creduto con lo scopo di «riscattare l’Islam e i musulmani», come afferma uno dei dettami della sua Regola. Su questo punto padre Paolo era molto chiaro. Non ignorava i problemi, ascoltava i racconti di sofferenza dei fratelli arabi cristiani, dei copti, dei caldei, dei maroniti, degli assiri… Ma sentiva come vocazione specifica dell’agire suo e della sua comunità monastica la via della fraternità. «Pertanto – affermava – qualunque sia la situazione, e tenendo conto del peggio che può accadere, rimane, per quei cristiani che sono chiamati da Dio, il ruolo dell’amore per tutti i musulmani».

Non si trattava di tattica politica ma dello sguardo di un missionario che sperimenta, innanzitutto su di sé, la potenza della misericordia di Cristo. Uno sguardo non fondamentalista, ma lieve, pieno di quella speranza che non delude perché riposa in Dio. Sempre aperto al sorriso. Così è commovente rileggere oggi alcuni passaggi profetici di un testo che tanto assomiglia a un testamento spirituale. In particolare, quando padre Paolo parla del giorno della sua offerta finale per Gesù: «Io dico: la nostra vocazione nel contesto musulmano dovrebbe essere adornata da una risata di gioia. E sia giorno di gioia, se Dio vuole, il giorno in cui gusteremo l’offerta finale per Gesù, e chiediamo questa grazia; perché è una grazia che nessuno può attribuirsi».

La pubblicazione del volume ha il sostegno della Fondazione Missio (Cei), della Faap (Fondazione ambrosiana attività pastorali), dell’associazione Articolo 18 di Mendrisio-Friburgo.

AgenSir/Vaticannews/red

Padre Paolo Dall'Oglio
7 Luglio 2023 | 11:23
Tempo di lettura: ca. 3 min.
Condividere questo articolo!