Francisco Fabres, con i coniugi Pron.
Ticino e Grigionitaliano

I ticinesi ad Haiti: «Non cambiamo il mondo, proviamo a vivere il Vangelo»

Hanno dovuto ritardare la loro partenza di un paio di mesi, a causa dell’instabilità politica nel Paese. Si confrontano ogni giorno con povertà e disagi. Ora si fa strada anche la minaccia del Coronavirus. Eppure leggendo i racconti di Maria Laura e Sebastiano Pron, la coppia ticinese in missione ad Haiti, si capisce che vivono questa esperienza con gioia piena. Sarà che davvero, in mezzo agli ultimi, si può cogliere lo spirito del Vangelo.

Sebastiano, 39 anni, è un insegnante; Maria Laura, 32, è dottoressa. Sono sposati da 5 anni e nel 2019 hanno deciso di partire per la missione della Chiesa ticinese ai Caraibi, nella diocesi di Anse-à-Veau-Miragoâne. Qui li aspettava Francisco Fabres, missionario di origini cilene già presente ad Haiti. Nello scorso autunno, poco prima della partenza, Sebastiano e Maria Laura avevano raccontato a Strada Regina le loro emozioni: entusiasmo, affidamento e anche un piccolo sogno: coltivare un orto nella terra impervia di Haiti. Partiti nel mese di dicembre, condividono le loro avventure sul blog «Progetto Haiti». Ci sono gli incontri di formazione e le celebrazioni con la Chiesa locale, i lavoretti in casa e i contrattempi della vita quotidiana. Soprattutto, emerge che la missione si sviluppa dentro una trama di relazioni. Dalla donna incontrata in fin di vita al dispensario, alle persone che arrivano a bussare alla porta di casa.

Oggi, a quasi quattro mesi dalla loro partenza, ci raccontano le loro impressioni.

Maria Laura e Sebastiano Pron durante una celebrazione

1. Siete ad Haiti ormai da più di tre mesi. Quali vostre aspettative sono state confermate? Quali invece le sorprese? 
I primi mesi in terra haitiana sono trascorsi molto rapidamente tra incontri, visite e programmazione delle attività. Prima della partenza, da tempo avevamo coltivato il sogno di vivere un’esperienza di missione, che ora si avvera quotidianamente nella relazione con i nostri collaboratori, i vicini, le persone della comunità, i malati del dispensario o semplicemente le signore a cui compriamo le verdure al mercato. L’aspettativa più grande che avevamo era quella di poter incontrare lungo il nostro cammino qui tante persone bisognose e di avere il coraggio di mettere in pratica gli insegnamenti del Vangelo. Nelle attività di tutti i giorni abbiamo ricevuto delle sorprese e segni della Provvidenza.

2. Che tipo di relazione avete instaurato con gli abitanti del posto?
Gli haitiani sono persone accoglienti, curiose e gentili. All’inizio però è necessario instaurare con loro una relazione di fiducia e far capire che la nostra presenza qui come missionari non significa semplicemente offrire finanziamenti. Molto spesso, anche mentre semplicemente camminiamo per strada, ci vengono chiesti dei soldi. Questo tipo di comportamenti è un retaggio del passato coloniale di sfruttamento e dei problemi socio-economici da cui la nazione, fin dalla sua fondazione, non riesce a sollevarsi. Ma crediamo che sia dovuto involontariamente anche al comportamento di enti di beneficienza e numerose ONG (vedi ad esempio le decine di organizzazioni arrivate sul posto dopo il terremoto del 2010). Noi proviamo a trattare ogni persona come fratelli e sorelle e a spiegare con semplicità che siamo in questo Paese per condividere un pezzo di strada insieme, scambiare esperienze, conoscenze e capacità: allora veniamo accolti con amicizia. La nostra missione inizia in casa, dove con i nostri collaboratori, condividendo il lavoro, i pasti, le preoccupazioni e le gioie, giorno per giorno stiamo costruendo una famiglia.

Un’attività di formazione gestita da Maria Laura

3. Dai vostri racconti emerge una realtà con molte necessità, ma in cui le possibilità di incidere a livello «strutturale» sono per forza di cose limitate. È una sensazione che avete anche voi? Come si può contrastare il senso di impotenza?
Qui ogni giorno si incontrano molti bisogni, sia materiali, che spirituali e morali. Non possiamo pensare di cambiare la struttura del paese. Il lavoro che svolgiamo assieme a Francisco, missionario cileno arrivato ad Haiti già nel 2017, ha come obiettivo quello di migliorare e rafforzare le capacità delle persone sul posto per rendere le nostre azioni sostenibili, cioè che durino nel tempo. Certamente non possiamo pensare di cambiare il paese in pochi mesi o anni, vedendo grandi organizzazioni e ONG da decenni attive ad Haiti, che nonostante l’investimento di molto personale e fondi, non sono riuscite nell’intento di raggiungere il cosiddetto sviluppo sostenibile. Se da un lato c’è l’intenzione di svolgere attività organizzate e studiate con i collaboratori locali, che speriamo portino frutti negli anni a venire, dall’altro non possiamo restare indifferenti ai tanti bisogni (di cibo, acqua, medicine) del nostro prossimo. Il senso di impotenza di fronte a questa realtà c’è e non si può negare, ma ci piace pensare che stiamo seminando e anche se probabilmente non assisteremo ai frutti di questo lavoro, almeno contribuiamo alla preparazione del terreno per un futuro migliore.

4. Com’è la situazione rispetto al rischio di Coronavirus? Anche ad Haiti si ha la percezione di quello che sta accadendo in Europa?
Il 19 marzo sono stati registrati i primi casi di infezione da Coronavirus in capitale. Il governo ha subito annunciato lo stato di emergenza sanitaria e imposto varie misure preventive tra cui la chiusura di tutte le scuole, delle chiese, di fabbriche ecc. Il sistema sanitario debole e le gravi difficoltà economiche della popolazione, abituata a guadagnarsi la vita di giorno in giorno, potranno rendere la situazione difficile. Inoltre le condizioni di vita della maggior parte della popolazione non permettono di mantenere le misure di precauzione richieste. Gli haitiani sono a conoscenza dell’infezione giunta dalla Cina, ma probabilmente non colgono la gravità della situazione che causa la pandemia in Occidente. 

Maria Laura Pron, Francisco Fabres e alcuni giovani haitiani

5. Quali impressioni vi arrivano dal Ticino, colpito dalla pandemia? Che pensiero rivolgete alla vostra terra?
Seguiamo quotidianamente le notizie dal Ticino e siamo vicini a tutta la popolazione e al personale sanitario. É commovente vedere come tante iniziative di solidarietà si sono instaurate nelle comunità alle quali sicuramente avremmo partecipato, per esempio la distribuzione della spesa da parte degli scout. Siamo vicini al nostro paese con pensieri e preghiere e vi auguriamo di riuscire a superare presto questo momento difficile. 

6. Prima di partire ci avete raccontato che avreste portato con voi delle sementi. A che punto è la coltivazione dell’orto? Riuscite a dedicare del tempo a qualche hobby o attività particolare?
Prendersi cura della terra e coltivare orto e campo sono attività che ci piacciono molto e ci permettono di avere molti scambi con la popolazione. Abbiamo preparato il terreno attorno alla casa lavorando assieme al nostro collaboratore, ascoltando i suoi consigli e soprattutto rispettando i loro tempi (le piogge si sono fatte attendere). Abbiamo visto da vicino la vita durissima dei contadini haitiani, che ci hanno aiutato a seminare il campo. Molte persone del villaggio sono sorprese vedendo due europei lavorare la terra o zappare per cui si fermano a parlare con noi: siamo grati per questi momenti di scambio e testimonianza, perché ad esempio i giovani qui ritengono il lavoro dei contadini senza valore, mentre preferiscono fare i tassisti di motociclette. 

Francisco Fabres, con i coniugi Pron.
27 Marzo 2020 | 11:15
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