Il cattolicesimo arrivò in Giappone durante il Cinquecento, portato inizialmente da Francesco Saverio e dai gesuiti che lo seguirono. Il loro modo di entrare in contatto con la comunità locale era cauto: tentavano di entrare in relazione anzitutto con i capi cercando di rispettare la tradizione e la cultura locale. Con l’arrivo dei francescani e dei domenicani, i primi folti gruppi di cristiani germogliarono, in particolare a Nagasaki, che a fine XVI secolo contava già 300 mila fedeli. Ma una serie di fattori portarono alla rottura. Il potere locale temeva questo nuovo credo, considerato un braccio dell’Occidente per penetrare la loro storia nipponica. E le persecuzioni iniziarono presto: prima con lo shogun Hideyoshi (i primi 26 martiri cristiani sono della sua epoca, 1597), poi, vent’anni dopo, sotto i Tokugawa, che bandirono il cristianesimo dal Giappone.
Ed è allora che nacquero i kakure kirishitan, i «cristiani nascosti».Molti di loro fuggirono nascondendosi nelle tante isole che c’erano nel sud del Paese. Ma le persecuzioni erano sistematiche. Per indurre poi a rinnegare la fede si usò il sistema del »fumi-e» (calpestare-immagine): si poneva per terra una immagine sacra e chi era sospettato di essere cristiano era invitato a calpestarla. Solo chi lo faceva aveva salva la vita. Nel 2008, Benedetto XVI ha canonizzato ben 188 martiri di quel periodo. Il film «Silence» di Martin Scorsese del 2016 ha dato voce a queste storie
Quando poi nell’Ottocento il Giappone riaprì i suoi porti ai missionari francesi, i fedeli si fecero coraggio e tornarono fuori: si racconta che nel 1865 furono quasi 10 mila i «kakure kirishitan»che per celebrare il venerdì santo si presentarono ai padri delle Missioni Estere di Parigi arrivati a Nagasaki, increduli di fronte ai loro occhi. Di fatto il tempo di persecuzione si chiuse ufficialmente nel 1916.
fonte: Unesco/red/agenzie