Papa e Vaticano

«Fratelli tutti»: è arrivata la terza Enciclica di Bergoglio, la seconda a tema sociale

San Francesco «non faceva la guerra dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio». Lo scrive il Papa in uno dei primi passi di Fratelli tutti, la terza enciclica del pontificato firmata ieri ad Assisi e pubblicata domenica 4 ottobre. Un testo – ammette il Pontefice – in un certo senso ispirato dal confronto con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb.

Nel primo capitolo, dedicato alle ombre di un mondo chiuso, Papa Francesco ricorda che «la storia sta dando segni di un ritorno all’indietro. Si accendono conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi. In vari Paesi un’idea dell’unità del popolo e della nazione, impregnata di diverse ideologie, crea nuove forme di egoismo e di perdita del senso sociale mascherate da una presunta difesa degli interessi nazionali». Oggi – sottolinea – si avverte «la perdita del senso della storia che provoca ulteriore disgregazione. Si avverte la penetrazione culturale di una sorta di decostruzionismo» che porta a «nuove forme di colonizzazione culturale».

In questo quadro «parti dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti. Abbiamo visto quello che è successo agli anziani in alcuni luoghi del mondo a causa del coronavirus. Non dovevano morire così». Assistiamo poi alla «ossessione di ridurre i costi del lavoro, senza rendersi conto delle gravi conseguenze che ciò provoca, perché la disoccupazione che si produce ha come effetto diretto di allargare i confini della povertà. Ci sono regole economiche che sono risultate efficaci per la crescita, ma non altrettanto per lo sviluppo umano integrale«. Nel mondo di oggi – accusa il Papa – «i diritti umani non sono uguali per tutti», vediamo che «l’aberrazione non ha limiti quando si assoggettano donne, poi forzate ad abortire. Un atto abominevole che arriva addirittura al sequestro delle persone allo scopo di vendere i loro organi».  E così «i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un’utopia di altri tempi».  La pandemia ci ha posti tutti – ricorda Francesco – sulla stessa barca: «se tutto è connesso, è difficile pensare che questo disastro mondiale non sia in rapporto con il nostro modo di porci rispetto alla realtà, pretendendo di essere padroni assoluti della propria vita e di tutto ciò che esiste. Non voglio dire che si tratta di una sorta di castigo divino. Velocemente però dimentichiamo le lezioni della storia, maestra di vita. Passata la crisi sanitaria, la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica. Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più gli altri, ma solo un noi. Che non sia stato l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare».

Il pensiero del Papa corre anche ai migranti, che «vengono considerati non abbastanza degni di partecipare alla vita sociale come qualsiasi altro, e si dimentica che possiedono la stessa intrinseca dignità di qualunque persona». Francesco quindi suggerisce di «mettersi seduti ad ascoltare l’altro, paradigma di atteggiamento accogliente» perché «la saggezza non si fabbrica con impazienti ricerche su internet».

Nel secondo capitolo, dedicato alla parabola del Buon Samaritano, Francesco parla della fraternità umana. «Una volta incamminati, ci scontriamo, immancabilmente, con l’uomo ferito. Oggi, e sempre di più, ci sono persone ferite. Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità, una nuova tappa. Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile. È possibile cominciare dal basso e caso per caso: il samaritano della strada se ne andò senza aspettare riconoscimenti o ringraziamenti. La dedizione al servizio era la grande soddisfazione davanti al suo Dio e alla sua vita, e per questo un dovere». Il Papa spiega che per  «i cristiani, le parole di Gesù hanno anche un’altra dimensione, trascendente. Implicano il riconoscere Cristo stesso in ogni fratello abbandonato o escluso».

Pensare e generare un mondo aperto è il titolo del terzo capitolo. Il Papa ricorda come sia «impossibile capire me stesso senza un tessuto più ampio di relazioni». «L’amore che è autentico, che aiuta a crescere, e le forme più nobili di amicizia abitano cuori che si lasciano completare. La statura spirituale di un’esistenza umana è definita dall’amore” che «implica dunque qualcosa di più che una serie di azioni benefiche. Le azioni derivano da un’unione che inclina sempre più verso l’altro considerandolo prezioso, degno, gradito e bello, al di là delle apparenze fisiche o morali. L’amore all’altro per quello che è ci spinge a cercare il meglio per la sua vita. Solo coltivando questo modo di relazionarci renderemo possibile l’amicizia sociale che non esclude nessuno e la fraternità aperta a tutti».

Il Pontefice ribadisce poi che «l’amore che si estende al di là delle frontiere ha come base ciò che chiamiamo amicizia sociale in ogni città e in ogni Paese. Quando è genuina, questa amicizia sociale all’interno di una società è condizione di possibilità di una vera apertura universale».  » La fraternità – rileva Francesco – ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità». Secondo il Papa «c’è un riconoscimento basilare, essenziale da compiere per camminare verso l’amicizia sociale e la fraternità universale: rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza. Ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente, e nessun Paese può negare tale diritto fondamentale” e «la persona umana, coi suoi diritti inalienabili, è naturalmente aperta ai legami. Nella sua stessa radice abita la chiamata a trascendere sé stessa nell’incontro con gli altri».

Francesco parla poi del valore della «solidarietà come virtù morale e atteggiamento sociale, frutto della conversione personale, esige un impegno da parte di una molteplicità di soggetti, che hanno responsabilità di carattere educativo e formativo. Il mio primo pensiero va alle famiglie, chiamate a una missione educativa primaria e imprescindibile. Esse costituiscono il primo luogo in cui si vivono e si trasmettono i valori dell’amore e della fraternità, della convivenza e della condivisione, dell’attenzione e della cura dell’altro. Esse sono anche l’ambito privilegiato per la trasmissione della fede». «Nessuno – ammonisce – può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato, e tanto meno a causa dei privilegi che altri possiedono per esser nati in luoghi con maggiori opportunità. I confini e le frontiere degli Stati non possono impedire che questo si realizzi».

Il quarto capitolo dell’enciclica ha come tema «un cuore aperto al mondo». E il Papa torna sul tema dei migranti ricordando i quattro verbi «accogliere, proteggere, promuovere e integrare. L’arrivo di persone diverse, che provengono da un contesto vitale e culturale differente, si trasforma in un dono». Francesco auspica poi «un ordinamento mondiale giuridico, politico ed economico» che «incrementi e orienti la collaborazione internazionale verso lo sviluppo solidale di tutti i popoli. Questo alla fine andrà a vantaggio di tutto il pianeta». In un contesto simile è necessaria anche la «gratuità» che «è la capacità di fare alcune cose per il solo fatto che di per sé sono buone, senza sperare di ricavarne alcun risultato. Chi non vive la gratuità fraterna fa della propria esistenza un commercio affannoso e la vera qualità dei diversi Paesi del mondo si misura da questa capacità di pensare non solo come Paese, ma anche come famiglia umana, e questo si dimostra specialmente nei periodi critici». A tal proposito il Pontefice spiega che «la società mondiale non è il risultato della somma dei vari Paesi, ma piuttosto è la comunione stessa che esiste tra essi, è la reciproca inclusione, precedente rispetto al sorgere di ogni gruppo particolare».

La migliore politica è il tema centrale del quinto capitolo. «Ci sono leader popolari – osserva Papa Francesco – capaci di interpretare il sentire di un popolo, la sua dinamica culturale e le grandi tendenze di una società» ma ciò «degenera in insano populismo quando si muta nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere. Un’altra espressione degenerata di un’autorità popolare è la ricerca dell’interesse immediato».  Secondo il Papa, invece, «il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare  perché promuove il bene del popolo è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze. Questo è il miglior aiuto per un povero, la via migliore verso un’esistenza dignitosa». Per contro, «il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale», bisogna avere lo sguardo teso in avanti, «pensare a quelli che verranno non serve ai fini elettorali, ma è ciò che esige una giustizia autentica. La società mondiale ha gravi carenze strutturali che non si risolvono con rattoppi o soluzioni veloci meramente occasionali. Ci sono cose che devono essere cambiate con reimpostazioni di fondo e trasformazioni importanti. Solo una sana politica potrebbe averne la guida, coinvolgendo i più diversi settori e i più vari saperi». Necessario quindi «aver maturato un senso sociale che supera ogni mentalità individualistica».

Oggi – prosegue il Papa – «siamo ancora lontani da una globalizzazione dei diritti umani più essenziali. Perciò la politica mondiale non può tralasciare di porre tra i suoi obiettivi principali e irrinunciabili quello di eliminare effettivamente la fame» che «è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile«. La politica deve «amare con tenerezza. Vista in questo modo, la politica è più nobile dell’apparire, del marketing, di varie forme di maquillage mediatico».

Il sesto capitolo è dedicato al dialogo e alla amicizia sociale. Qui il Papa rammenta che «l’autentico dialogo sociale presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro, accettando la possibilità che contenga delle convinzioni o degli interessi legittimi». Bisogna «esercitarsi a smascherare le varie modalità di manipolazione, deformazione e occultamento della verità negli ambiti pubblici e privati». Nel dialogo e nel confronto vi deve essere «la capacità abituale di riconoscere all’altro il diritto di essere sé stesso e di essere diverso. Dietro al rifiuto di certe forme visibili di violenza, spesso si nasconde un’altra violenza più subdola: quella di coloro che disprezzano il diverso, soprattutto quando le sue rivendicazioni danneggiano in qualche modo i loro interessi». Oggi – denuncia il Pontefice – «l’individualismo consumista provoca molti soprusi». «La gentilezza» invece «è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane. La pratica della gentilezza non è un particolare secondario né un atteggiamento superficiale o borghese. Dal momento che presuppone stima e rispetto, quando si fa cultura in una società trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti».

I percorsi di un nuovo incontro sono l’argomento che il Papa affronta nel settimo capitolo. «Il percorso verso la pace non richiede di omogeneizzare la società, ma sicuramente ci permette di lavorare insieme. L’impegno arduo per superare ciò che ci divide senza perdere l’identità di ciascuno presuppone che in tutti rimanga vivo un fondamentale senso di appartenenza». Secondo Francesco «c’è una architettura della pace, nella quale intervengono le varie istituzioni della società, ciascuna secondo la propria competenza, però c’è anche un artigianato della pace che ci coinvolge tutti. La promozione dell’amicizia sociale implica non solo l’avvicinamento tra gruppi sociali distanti a motivo di qualche periodo storico conflittuale, ma anche la ricerca di un rinnovato incontro con i settori più impoveriti e vulnerabili. Quanti pretendono di portare la pace in una società non devono dimenticare che l’inequità e la mancanza di sviluppo umano integrale non permettono che si generi pace».

«Mai Gesù Cristo – dice ancora Francesco – ha invitato a fomentare la violenza o l’intolleranza. Egli stesso condannava apertamente l’uso della forza per imporsi agli altri. La vera riconciliazione non rifugge dal conflitto, bensì si ottiene nel conflitto, superandolo attraverso il dialogo e la trattativa trasparente, sincera e paziente. Da chi ha sofferto molto in modo ingiusto e crudele, non si deve esigere una specie di perdono sociale. La riconciliazione è un fatto personale, e nessuno può imporla all’insieme di una società, anche quando abbia il compito di promuoverla. È facile oggi cadere nella tentazione di voltare pagina dicendo che ormai è passato molto tempo e che bisogna guardare avanti. Senza memoria non si va mai avanti, non si cresce senza una memoria integra e luminosa. Il perdono non implica il dimenticare. Quanti perdonano davvero non dimenticano, ma rinunciano ad essere dominati dalla stessa forza distruttiva che ha fatto loro del male. La vendetta non risolve nulla«. Ma il Papa non parla di «impunità. Ma la giustizia la si ricerca in modo adeguato solo per amore della giustizia stessa, per rispetto delle vittime, per prevenire nuovi crimini e in ordine a tutelare il bene comune, non come un presunto sfogo della propria ira».

Francesco osserva che «la guerra non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante». Ma «c’è un altro modo di eliminare l’altro, non destinato ai Paesi ma alle persone. È la pena di morte. San Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera chiara e ferma che essa è inadeguata sul piano morale e non è più necessaria sul piano penale. Non è possibile pensare a fare passi indietro rispetto a questa posizione e la Chiesa si impegna con determinazione a proporre che sia abolita in tutto il mondo».

L’ultimo capitolo dell’enciclica è dedicato alle religioni al servizio della fraternità nel mondo. Francesco è netto: «benché la Chiesa rispetti l’autonomia della politica, non relega la propria missione all’ambito del privato. La Chiesa è una casa con le porte aperte, perché è madre. E come Maria, la Madre di Gesù, «vogliamo essere una Chiesa che serve, che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione. Come cristiani chiediamo che, nei Paesi in cui siamo minoranza, ci sia garantita la libertà, così come noi la favoriamo per quanti non sono cristiani là dove sono minoranza. C’è un diritto umano fondamentale che non va dimenticato nel cammino della fraternità e della pace: è la libertà religiosa per i credenti di tutte le religioni«. «Tra le religioni – conclude il Papa – è possibile un cammino di pace. Il punto di partenza dev’essere lo sguardo di Dio. Perché Dio non guarda con gli occhi, Dio guarda con il cuore».

sintesi: Acistampa

4 Ottobre 2020 | 13:40
Tempo di lettura: ca. 9 min.
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