Ticino e Grigionitaliano

Fede e fiducia sono la stessa cosa?

di Gaetano Masciullo

Nel vangelo di domenica 12 luglio, si parla della famosa parabola del seminatore. Come spiega lo stesso Gesù, il seme è metafora della Parola e il terreno – nelle sue varie forme – è metafora dell’anima di chi ascolta. Scrive san Paolo infatti che Fides ex auditu (Romani 10,17), «la fede nasce dall’ascolto» della Parola. Questo brano evangelico è dunque strettamente connesso al concetto di fede. Viene però da chiedersi se conosciamo a fondo il significato di questo concetto apparentemente semplice.  

Per arrivare rapidamente al centro del discorso: fede e fiducia significano la stessa cosa? A sentire molti nostri contemporanei (e persino molti studiosi), sembrerebbe di sì. In realtà, le cose stanno diversamente e in questo articolo mi piacerebbe esplorare e recuperare insieme la differenza fondamentale che sussiste tra queste due nozioni, che pure risultano essere molto connesse tra loro.

Quando il Cristianesimo iniziò a diffondersi nell’allora decadente Impero Romano, dovette confrontarsi con le antiche religioni politeistiche. Gli antichi dèi, come Giove, Marte, Odino, non chiedevano ai propri fedeli di credere in dottrine sofisticate come condizione necessaria alla salvezza (salvo poche eccezioni che si presentarono più tardivamente, come i culti misterici). Il Cristianesimo invece pretese sin da subito di dover credere ad una serie di tesi – «articoli», come si dice in teologia – necessari. Il motivo per cui recitiamo il Credo a Messa è proprio questo. Esso è il frutto di diversi secoli di dibattiti, anche accaniti, tra la Chiesa che tentava di conservare la dottrina apostolica e di volta in volta nuove correnti teologiche che cercavano di mettere in discussione questa o quell’altra tesi. Ciò che oggi spesso ripetiamo solo come un automatismo è in realtà frutto di decenni, se non secoli, di finezze teologiche. Ne approfitto allora per un invito al lettore: recuperare il Credo e leggerlo con calma e cercare di comprendere – magari chiedendo a chi è più esperto – cosa significano frasi che possono apparire difficili, del tipo: «Credo nel Figlio, generato e non creato, della stessa sostanza del Padre».

Tornando al nostro discorso, la fede è stata definita a lungo dai teologi come l’adeguazione dell’intelletto alle verità rivelate da Dio. Sin da questa definizione, allora, vediamo che fede e fiducia non sono la stessa cosa. La fede coinvolge la parte intellettuale del credente (come diceva sant’Agostino: intelligo ut credam, «comprendo per credere»). La fiducia invece coinvolge la parte emotiva. Quando proviamo fiducia? Proviamo fiducia quando ci aspettiamo da qualcun altro un qualche bene che consideriamo raggiungibile, sebbene magari con qualche difficoltà, non immediatamente. Come è evidente da questa definizione, la fiducia allora è più legata alla seconda virtù teologale, la virtù della speranza. Speriamo infatti da Dio il sommo e arduo bene, cioè la vita eterna e i mezzi in questa vita necessarî per conseguirla. Dicevano i teologi medievali che la speranza teologale è una specie di «speranza aspettativa», cioè quel tipo di speranza che si ripone totalmente nell’altro – in questo caso, in Dio – anziché nelle proprie forze.

Per concludere, vorrei citare un passo di san Tommaso d’Aquino, il quale scrive che la speranza  talvolta è detta fiducia perché molto spesso «si denomina l’effetto dalla causa più nota» (Summa theologiae I-II, q. 40, a. 2, ad 2). La speranza infatti nasce dalla fede, dall’ascolto di quella Parola che ci rivela chi è Dio e che ci dice che tutto è dono sapiente delle sue mani.

12 Luglio 2020 | 06:50
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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