Ticino e Grigionitaliano

Dalla Parola di Dio alla vita per tutti: commenti nel Natale di Gesù

a cura del Coordinamento della Formazione Biblica della Diocesi di Lugano

Questa è la puntata natalizia del nostro percorso di confronto con i testi evangelici verso il Natale. Ragguardevoli esperte ed esperti di tradizione cattolica e di altre confessioni cristiane propongono le loro sintetiche linee di analisi e di interpretazione ai diversi testi evangelici che si succederanno, domenica dopo domenica. Le traduzioni dei brani evangelici sono quelle pubblicate dall’Associazione Biblica della Svizzera Italiana nei volumi delle Edizioni Terra Santa (la casa editrice della Custodia francescana di terra Santa) editi dal 2017 in poi, nel quadro del progetto internazionale ABSI «Leggere i vangeli per la vita di tutti»[1].

Saremo lieti di conoscere l’opinione su di essi delle persone che leggeranno questi contributi (scrivano pure a: info@absi.ch) sia per stabilire un dialogo con loro sia per avere stimoli a migliorare costantemente quanto sarà proposto, settimana dopo settimana, in queste pagine elettroniche…

Nel corso delle celebrazioni eucaristiche del Natale, dalla sera del 24 dicembre all’intera giornata del 25 dicembre, i due brani evangelici che sono proposti, in diverse parti, nel rito romano e nel rito ambrosiano, sono Giovanni 1,1-18 e Luca 2,1-20. Proponiamone qui di seguito dei commenti complessivi, anche a titolo di riepilogo globale di quello che si è potuto leggere nel corso delle settimane precedenti.

Giovanni 1,1-18 (commento di Stefania De Vito [2])

Il prologo del vangelo secondo Giovanni rappresenta l’atrio, in cui il fedele può ritrovarsi e ripercorrere la propria storia personale. L’evento della Parola d’amore, divenuta carne, si fa luce per i passi degli esseri umani e aiuta a discernere per comprendere in quale modo chiunque possa vivere da figlio di Dio.

1In principio era la Parola (d’amore) [3], e la Parola (d’amore) era rivolta verso Dio ed era, la Parola (d’amore), Dio. 2Essa era, in principio, rivolta verso Dio. 3Tutte le cose attraverso di lei vennero all’esistenza, e senza di lei nulla di ciò che esiste venne all’esistenza. 4 In lei vita era, e la vita era la luce degli esseri umani; 5e la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno dominata.
6Ci fu un essere umano, mandato da Dio: il suo nome (era) Giovanni. 7Egli venne per una testimonianza, per dare testimonianza a proposito della luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce, ma (era) per rendere testimonianza a proposito della luce.9La luce, quella vera, quella che illumina ogni umano, stava venendo nel mondo. 10Nel mondo era, e il mondo venne all’esistenza per mezzo di lei, eppure il mondo non l’ha (ri)conosciuta. 11Venne nei contesti che gli appartengono, ma coloro che gli appartengono non l’hanno ricevuta. 12A quanti però l’hanno accolta, ha dato facoltà di diventare figli e figlie [4] di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di essere umano, ma a partire da Dio sono stati generati.
14E la Parola (d’amore) divenne carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi contemplammo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. 15Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l’uomo di cui io dissi: «Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me»». 16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto cioè grazia al posto di grazia. 17Perché la Torah fu data per mezzo di Mosè, l’amore e la vera fedeltà vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nella piena intimità del Padre, egli ne è stato l’autentico interprete.

v. 1: La parola greca Lògos può rendersi, correttamente, a seconda deidiversi contesti culturali e testuali, con «verbo», «parola» o «discorso». In realtà, ciò che conta è comprendere la tradizione religiosa di Israele, custodita nel termine dabar (pron. davar), che confluisce in Lògos, e che offre un orizzonte di fede rinnovato. Sin da Genesi 1, dabar è «parola» che crea, mettendo ordine. Questo vocabolo è tradotto anche con «evento». La traduzione forse più corretta di dabar è «parola-evento»; si tratta di un flusso fonetico che crea l’evento comunicativo e realizza ciò che dice (cfr. Is 55,10-11). Questa Parola d’amore è il principio della storia della salvezza.

vv. 2-3: È importante leggere insieme questi due versi. L’immagine di una Parola rivolta verso Dio dà l’idea del dialogo d’amore tra essa e il Signore. Questo dialogo intimo non è esclusivo: è capace di uscire da se stesso e di aprirsi all’atto creatore. Qui, emerge il volto di questa Parola d’amore, che è di più di un principio generativo. È una Parola che rende «vivo» tutto ciò che si trova fuori di essa, anche la natura.

v. 4: La vita è quel principio che fa da faro agli esseri umani. La Parola, che vive nell’amore di Dio, genera vita all’esterno, affinché essi ricevano luce.

v. 5: Comincia qui il racconto di uno dei momenti cruciali della storia della salvezza. La Parola d’amore prende vita e brilla nelle tenebre. Il verbo greco phàinetai (splendere, brillare), può significare anche venire alla luce: la luce è venuta alla luce quando l’oscurità era totale. Questo verso è affascinante: tenebre esprime metaforicamente il vuoto morale, ma anche un profondo combattimento interiore. Questo buio rappresenta uno stato di incertezza, di chi desidera la luce, ma non sa decidersi per essa. La reazione delle tenebre alla luce è affidata al verbo katalambàno. L’immagine è molto forte: la luce che viene alla luce non è stata posseduta dalle tenebre. Il significato combinato dei due termini descrive una situazione di disorientamento etico che non è riuscito, però, ad assorbire la luce nascente; pertanto, le due realtà – buio e luce – restano distinte, in continua contrapposizione tra loro.

vv. 6-8: Il poema sulla Parola d’amore cede il posto a Giovanni. La sua identità umana è subito specificata dal ruolo che questi svolge, per esplicita volontà di Dio, nella storia della salvezza. Nei vv. 7.8 domina il lessico della testimonianza e si descrive l’antico ufficio dei profeti di «rendere evidente» qualcosa che sarebbe avvenuto nel futuro. L’azione della testimonianza, soprattutto quella giuridica, è legata alla memoria dell’evento. Giovanni fa memoria della Parola d’amore che si fa luce e ne dà testimonianza. Questa articolazione implica un ricordo non di tipo intellettuale, ma un’esperienza della Parola che, in Giovanni, ha generato vita e prodotto luce. In greco, il testimone è martys, cioè il martire: egli mette in gioco la sua stessa vita, in nome della testimonianza alla luce.

vv. 9-10.11: I versetti 9.10.11 sono costruiti in parallelo con i vv. 3.4.5. Questa costruzione racconta lo stesso evento, attraverso due prospettive diverse: gli occhi dell’Eterno e quell’uomo. Il rapporto luce-tenebre si trasforma nel rapporto luce-mondo. Il termine kosmos indica l’insieme degli esseri viventi e può significare, in maniera traslata, anche coloro che sono alienati dall’amore di Dio. Mentre il Signore riconosce le tenebre che attanagliano il cuore umano, il cosmo non fa esperienza e non riconosce la luce, perché non sa chiamare per nome il disorientamento interiore che vive. Nel v. 11, l’identità di questo kosmos diventa puntuale: questa comunità, dai confini incerti, è formata da coloro che «appartengono» alla Parola d’amore e alla luce. Qui si consuma il dramma della storia della salvezza. Coloro che «sono» della Parola non hanno saputo «prenderla con sé», non hanno fatto della loro quotidianità lo spazio sacro in cui far abitare e vivere la Parola.

vv. 12-13: La luce che viene è capace di sovvertire l’orizzonte umano dell’appartenenza. Il linguaggio del «parto» e della «generazione» è diffuso e facilmente comprensibile. In tal modo, l’evangelista sottolinea come l’elevazione a figli, ossia a persone in rapporto particolarmente stretto con Dio, richieda un atteggiamento di apertura ed accoglienza della Parola che si fa luce.

v.14: Questo verso rappresenta il centro dell’intero inno. La Parola non è mai stata chiusa in se stessa: presso Dio, ha generato il mondo, presso gli esseri umani, nella carne, ha generato una umanità rinnovata, capace di vivere la «carne» come luogo di manifestazione di Dio e della sua Gloria, cioè del suo valore pieno. Eloquente è l’uso del temine skené (tenda), dal forte background giudaico: simbolo della vita, della sua condivisione e di una presenza, ad un tempo, di stabilità e di dinamismo.

v. 15: Si ritorna alla figura ridimensionata di Giovanni, per sottolineare il modo in cui comprendere il rapporto tra lui e Gesù.

v. 16: Pleroma significa pienezza. La grazia è un dono continuo; mentre viene donata, supera se stessa, nella generazione di una corrispondenza d’amore tra Dio e l’uomo.

v. 17: La Torah, l’amore e la fedeltà sono esplicitazioni del dono della Grazia. Questi valori rappresentano una sorta di «iperdono» a cui l’uomo partecipa con la reciprocità dell’amore e della fedeltà. Questo linguaggio spiega e rimodula quello dell’accoglienza e della generazione a figli, dal radicamento giudaico allo sviluppo culminante nel Nazareno Messia.

v. 18: Si riprende un tema caro all’AT: l’impossibilità di vedere Dio faccia a faccia (cfr. Es 33,20). Il termine kòlpon, solitamente tradotto con «seno», è tipico della Settanta per indicare affetto ed intimità. Il verbo exēgēsato può essere reso con «raccontare». L’immagine proposta è questa: il figlio unigenito, che vive nell’intimità col Padre, può raccontare agli esseri umani con la sua persona, come nessuno e meglio di chiunque, l’identità, il volto, il modo di esistere di Dio.

Luca 2,1-20 (commento di Gaetano Di Palma [5])

Questa sequenza narrativa è composta da quattro brani facilmente individuabili, benché strettamente collegati tra di loro. Il primo (vv. 1-7) narra la nascita di Gesù a Betlemme; il secondo (vv. 8-14) l’annuncio degli angeli ai pastori; il terzo (vv. 15-20) la visita dei pastori a Gesù; infine il quarto (v. 21), la circoncisione del bambino. Vi sono, però, alcuni elementi che suggeriscono anche una diversa struttura. Nei vv. 6.21.22 ricorre la medesima formula: «furono compiuti i giorni» (eplésthēsan ai ēmérai), riferentesi a tre «compimenti»: quello dei giorni per il parto; quello dei giorni prescritti per il rito della circoncisione; quello dei giorni per la presentazione al Tempio. Perciò, questa pericope può essere strutturata anche così: vv. 1-5 (introduzione); vv. 6-20 (nascita di Gesù).

1In quei giorni avvenne che fosse emesso un decreto di Cesare Augusto in modo che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. 3E andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, 5per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. 6Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nella stanza. 8C’erano nella stessa regione alcuni pastori che dimoravano la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce ed essi furono atterriti da una paura grande, 10L’angelo, però, disse loro: «Non abbiate paura, perché, ecco, vi do l’annunzio di una gioia grande, che sarà di tutto il popolo: 11oggi vi è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore, nella città di Davide. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino che è avvolto in fasce e giace in una mangiatoia. 13E subito apparve, insieme all’angelo, una moltitudine della schiera celeste che lodava Dio e diceva:

«14Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e pace in terra agli esseri umani della sua gratuita benevolenza».

15Appena gli angeli si furono allontanati da loro verso il cielo, i pastori parlavano fra loro: «Dobbiamo andare fino a Betlemme e vedere questo evento che il Signore ci ha fatto conoscere». 16Si affrettarono dunque ad andare e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, resero pubblico il fatto di cui era stato detto loro relativamente al bambino. 18Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori avevano detto loro. 19Maria, da parte sua, conservava tutte queste parole piene di senso, mettendole a confronto tra loro nel suo cuore. 20I pastori poi tornarono indietro, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

vv. 1-5: La nascita di Giovanni è stata inquadrata, riferendosi al re Erode il Grande, nella storia d’Israele (cfr. 1,5). iLa nascita di Gesù, invece, è inserita in un contesto «universale»: si parla del censimento di tutta la «terra» (in greco oikouménē, cioè il «mondo conosciuto», ossia l’impero romano) ordinato da Cesare Augusto (imperatore dal 27 a.C. al 14 d.C.). Il censimento aveva finalità fiscali; i romani lo effettuavano nei territori amministrati dai propri funzionari, come avvenne nel 6-7 d.C., quando Quirinio era governatore della Siria. Infatti Archelao, che aveva ereditato la Giudea alla morte del padre Erode, fu deposto nel 6 e la regione passò sotto il diretto controllo romano. Inoltre, Gesù è nato prima della morte di Erode, avvenuta nel 4 a.C., periodo nel quale non poteva svolgersi il censimento. Ad ogni modo, l’intenzione di Luca era dimostrare che Gesù, in qualità di Messia, è nato nella città di Davide. Per tale ragione fa viaggiare Giuseppe, con la sposa Maria incinta, da Nazareth verso Betlemme, «dove si compirono per lei i giorni del parto» (v. 6).

vv. 6-20: Questo lungo brano si divide in tre parti: vv. 6-7; vv. 8-14; vv. 15-20. Nelle prime due Luca sottolinea che il bambino «è avvolto in fasce e giace in una mangiatoia» (vv. 7.12), mentre nella terza soltanto che «giace in una mangiatoia» (v. 16). È un modo per insistere sull’incarnazione del Figlio di Dio, che dalla periferia suscita la salvezza per il mondo.

vv. 6-7: I giorni del parto si compiono a Betlemme, dove non si trova posto per Maria e Giuseppe nel katàlyma, ossia una stanza insieme ad altri viaggiatori, certamente non adatta per un evento come la nascita di un bambino. Appena nato, secondo l’usanza, Gesù è avvolto in fasce per fargli tenere gli arti dritti ed è posto in una mangiatoia, dove veniva posto il fieno per gli animali. Gesù è definito «figlio primogenito» di Maria; ciò non vuol dire automaticamente che ella abbia avuto altri figli, ma neppure che non possa averne avuti.

vv. 8-14: I primi a essere avvisati della nascita sono i pastori, gente povera e di solito circondata da diffidenza. A loro è rivolto l’annuncio angelico, che sono presi dal tipico timore causato dalle manifestazioni della gloria divina (cfr. Is 6,1-5). L’angelo «reca la lieta notizia» (si veda nel v. 10 il verbo euanghelìzomai), la grande gioia per tutto il popolo – qui s’intende Israele – che è nato il «salvatore», cioè il «Cristo Signore» nella città di Davide. La rivelazione angelica interpreta il fatto accaduto e fornisce ai pastori gli elementi per leggere ciò che vedranno. Infatti, ai loro occhi si presenterà una scena semplice: «un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia» (v. 12). A tale semplicità si contrappone lo splendore dell’esercito celeste che esalta la gloria dovuta a Dio e la pace donata agli esseri umani, sui quali Dio effonde la sua benevolenza.

vv. 15-20: I pastori rispondono all’appello e si recano a vedere, trovando il bambino che giace nella mangiatoia (v. 16) insieme a Giuseppe e Maria. Seppur per quei momenti, essi diventano testimoni gioiosi del «vangelo» della nascita del Messia. Al v. 19 Luca fa osservare la gioia intima vissuta da Maria, la quale osserva, ripone nell’archivio del suo cuore i fatti di cui è partecipe, per riflettervi, mettendone a confronto i vari dettagli (symbàllousa). Il suo è l’autentico atteggiamento sapienziale raccomandato al lettore: non solo meraviglia e stupore, ma soprattutto contemplazione intelligente del mistero.

Per leggere, in chiave interreligiosa, l’insieme dei capp. 1-2 dei vangeli secondo Matteo e secondo Luca, si veda la registrazione dell’incontro, svoltosi presso la Scuola Media di Camignolo, il 19 dicembre 2011 e intitolato «Gesù è nato a Betlemme?» con la giudaista Elena Lea Bartolini De Angeli e il biblista Renzo Petraglio (si utilizzi pure il seguente link: https://youtu.be/0kYoLIXeuh8).

Per leggere complessivamente il vangelo secondo Giovanni con una prospettiva attenta al testo e alla vita contemporanea, si ascolti la registrazione dell’incontro su questo tema intitolato «Per conoscere la Bibbia nella vita di tutti – II anno (V incontro)», tenuto dalla pastora e teologa battista Lidia Maggi il 21 febbraio 2016 presso la parrocchia San Pio X (Cinisello Balsamo/MI) nel quadro del percorso formativo «PER CONOSCERE LA BIBBIA NELLA VITA DI TUTTI. II anno (dalla cultura ebraica alle origini cristiane: introduzione alle versioni evangeliche)». Per ascoltare si utilizzi pure il seguente link: https://youtu.be/tgL25sZQMW4


[1] Per avere accesso ai volumi di dette traduzioni, ci si rivolga pure a: info@absi.ch

[2] Nata ad Avellino nel 1977, cattolica, sposata e madre di famiglia, dottoressa in teologia biblica (Pontificia Università Gregoriana di Roma), già docente di introduzione alla Bibbia (Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale/ISSR di Avellino), insegna discipline bibliche presso la Pontificia Università Gregoriana e l’Università LUMSA di Roma. Ha pubblicato la sua tesi di dottorato dal titolo La schiavitù via di pace. Una prospettiva pragmalinguistica di Rm 6,15-23, PUG, Roma 2016. Ha collaborato alla redazione dei volumi Iniziare a leggere la Bibbia, Cittadella, Assisi 2018; Di’ soltanto una parola. Per leggere la Bibbia nella cultura di tutti, Effatà, Cantalupa (TO) 20182.

[3] L’espressione d’amore aggiunta da noi tra parentesi al termine «Parola» è un tentativo di esprimere adeguatamente il contenuto attivo e il movente creativo di tale «Parola», così come il prologo giovanneo la utilizza, dall’ebraico Dabar al greco Lògos, dai testi di Genesi alla fine della raccolta neo-testamentaria.

[4] La parola greca qui tradotta con figli e figlie significa, alla lettera, i partoriti e rispettivamente le partorite. La si ritrova anche in 8,39 e 11,52. Quanto al verbo partorire, Giovanni lo usa solo in 16,21.

[5] Nato a Portici (NA) nel 1964, presbitero cattolico, licenziato in Scienze Bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma e dottore in Teologia, è professore ordinario di Scienze Bibliche (Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli) e direttore del seminario di scienze bibliche della sezione «San Tommaso d’Aquino» della stessa Facoltà. Tra i libri più recenti: La grazia di Dio non è stata vana. Alcuni studi su Paolo di Tarso, CNX, Roma 2013; (con L. Parente) Alle sorgenti della misericordia. Il Vangelo di Luca, Passione Educativa, Benevento 2015; Cristo e la gioia nei vangeli sinottici, Sardini, Brescia 2016; (con S. Infantino), «Tu sei Pietro…». Primo degli apostoli e roccia della Chiesa Artetetra, Capua (CE) 2019; (con P. Giustiniani-A. Tubiello), In tempo di pandemia. Piccolo manuale per navigare a vista, Artetetra, Capua (CE) 2020.

23 Dicembre 2020 | 08:33
Tempo di lettura: ca. 11 min.
bibbia (99), formazione biblica (13), natale (236)
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