Questa è la sesta puntata dei commenti ai vangeli domenicali del tempo pasquale (rito cattolico romano) proposti da Roberto Geroldi, licenziato in teologia sistematica e parroco della Con-cattedrale di San Tommaso (Ortona/Chieti). Buona lettura!
“Le parole… La PAROLA” - ASCENSIONE DEL SIGNORE
Atti 1,1-11 / Salmo 46 - Ebrei 9,24-28; 10,19-23 - Luca 24,46-53
Discendere per RISALIRE
Luca 24,46-53[1]
46(Gesù) disse loro: «Così sta scritto: Il Cristo (deve) patire e risuscitare dai morti il terzo giorno 47e nel suo nome (devono) essere proclamati a tutte le genti il cambiamento di mentalità e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi (siete) testimoni. 49E io mando su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi dovete rimanere in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». 50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51E accadde che, mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato in alto verso il cielo. 52Ed essi, dopo essersi prostrati davanti a lui, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; 53e stavano sempre nel Tempio benedicendo Dio.
Diventare discepoli “adulti”
Allontanarsi e separarsi spesso è la condizione migliore per far crescere e rendere finalmente autonomi, anche se non autosufficienti. Ma non è sempre facile per i genitori nella fase adolescenziale dei propri figli e per loro che ormai adulti non vorrebbero uscire dal “nido” (quando vorrebbero allentare il legame, noi li tratteniamo; quando non ne possiamo più di averli tra i piedi, invece loro ci stanno troppo comodi…).
Allontanarsi a volte è necessario, a volte una necessità magari non voluta, subita… dettata dalle circostanze; si deve imparare a mantenere il rapporto “a distanza”.
Le relazioni di coppia, come le amicizie, conoscono bene queste dinamiche; mentre è quasi sempre “spiazzante” quando è la morte a separare.
Queste sensazioni psicologiche avranno influito anche sui primi discepoli del Nazareno, mentre noi in questa situazione di “presenza altra” di Gesù Signore ci siamo nati e cresciuti.
Un modo nuovo di essere presente è stata la promessa di Gesù ai suoi proprio mentre “si staccò da loro” [Luca 24,51 – Evangelo].
Possiamo immaginare il loro stato d’animo e i loro timori (cf Giovanni 16,5 e ss.), gli effetti sul loro comportamento. “Come l’elaborazione del lutto: colui che se n’è andato è veramente morto, non c’è più, non lo tocco più (cf Gv 20,17) e non lo vedo più, ma la sua presenza è viva in me… nella chiesa. La fine di tutto diventa l’inizio di una storia nuova. La presenza sottratta diventa presenza donata” (COMUNITÀ DI BOSE).
Contestualizzazione Evangelo&Atti
Luca sia in Atti 1,1-1 che nel Vangelo 24,46-53 ci narra il compimento della glorificazione di Gesù in una in prospettiva missionaria dai discepoli alla chiesa ed in un'altra più teologica connessa alla risurrezione che sembra avvenga nella notte stessa del primo giorno della settimana (vv.1.29.36).
Comunque il Signore Gesù, nel momento di “tornare” al Padre, ha dato loro delle istruzioni, li aveva preparati adeguatamente “per 40 giorni… a tavola con loro… promettendo anche lo Spirito” (Atti).
In Atti la narrazione si suppone legata ad una tradizione che mira a “materializzare” l’evento della glorificazione; l’altra “teologica” a Paolo (cf le sue lettere, anche Ebrei e la conclusione di Marco).
La Liturgia ci propone ambedue i racconti che vanno letti in parallelo (quasi un gioco a scoprire similitudini e differenze) e dove emergono una promessa e una benedizione: il Maestro non abbandonerà i suoi e assicura loro una presenza “nuova”, in modo tale che essi possano esserne testimoni gioiosi nell’attesa del suo ritorno glorioso. Egli continua ad essere per noi “colui che viene incontro”: come se ne andava sulle nostre strade ora in alto, nel nostro procedere verso il compimento della storia (cf vv. 50-51).
L’ammonimento “non state a guardare in alto” (At 1,11) ci interroga su dove e verso chi volgere ora lo sguardo. Non certo in basso, ma a chi sta al nostro fianco nel camminare insieme per scorgere nel volto degli altri il Volto di Colui che ha camminato in mezzo a noi e continua a farlo.
Da qui nasce il mandato all’impegno cristiano nella storia e nei problemi dell’umanità per testimoniare il suo amore ancora vivo e presente, più forte della morte: un’immersione nel suo Spirito che illumina e compie.
Contestualizzazione liturgica
La “nuova presenza” di Cristo è sicuramente più percepibile nella celebrazione eucaristica in cui la Chiesa fa memoria della sua venuta nella nostra umanità (At 1,1 - I lettura) come ora nel segno del pane; profezia del futuro che ci attende e che Lui ci assicura come “sta scritto” (Lc 24,46-48 - Evangelo).
Lo Spirito donato dal Risorto occupa lo spazio intermedio e lo anima della sua Presenza attraverso il nostro “stare insieme”, comunità che vive, crede e celebra la sua Pasqua attraverso la Parola, i segni eucaristici, i volti dei fratelli e sorelle radunati da Lui.
Un nuovo santuario spalanca le sue porte che sono il cuore del Padre e le mani del Figlio che ancora oggi si offre per noi e per tutti coloro che lo attendono, come una volta e per sempre!
E noi in piena libertà possiamo entrarvi - come i discepoli nella conclusione dell’evangelo lucano - percorrendo una via nuova e viva, inaugurata dalla stessa umanità del Figlio (sangue e carne) che ci rinnova, rendendoci capaci di fidarci appieno di Lui, nella speranza di un amore fedele per sempre (Ebrei 9 e 10 – II lettura).
“Dio in Gesù ama gli umani all’eccesso e li introduce nella sua stessa gloria, partecipi della sua pienezza. Dio rimane ormai per sempre vicino: questo annuncio di gioia che già i discepoli portavano in cuore vedendo Gesù sottrarsi ai loro sguardi, questo vangelo, è il Dono affidato alla chiesa che, come corpo di Cristo, è chiamata a manifestare ogni giorno la “sua” pienezza che si realizza interamente in tutte le cose, poiché in tutte le cose l’Amore può realizzarsi” (COMUNITÀ DI VIBOLDONE).
Sono già state fatte considerazioni e riflessioni sul fatto che l’atto del risorgere abbia posto Gesù di Nazareth in un nuovo rapporto con il Padre di “piena unità” dopo l’esperienza di aver vissuto umanamente (cf Gv 3,13) e che abbia “trascinato con sé” la natura umana e l’umanità in una sorta di divinizzazione.
Ascensione di Cristo e assunzione dell’essere umano. La Liturgia della chiesa spalanca il cielo in terra e porta la terra in cielo.
L’ascensione è il momento eterno del nostro accesso alla comunione con il Padre… e con i nostri fratelli e sorelle ogni volta che “usciamo da noi stessi” per entrare nelle situazioni altri con quella tenerezza e compassione che ha caratterizzato il calarsi del Figlio nella nostra vicenda umana. Più scendiamo abbassandoci (cf Filippesi 2), con l’umanità ascendiamo in Colui che dell’umanità ha fatto la sua sposa, infatti “non si è separato dalla nostra condizione umana… dove è Lui, nostra testa, siamo anche siamo anche noi suo corpo” [PREFAZIO I; cf Efesini 5].
[1] Traduzione del testo: absi, LUCA, Edizioni Terra Santa, Milano 2018, pp. 350-351.