«Undici anni fa – racconta al Corriere della Sera – Stramaccioni mi chiamò alla Roma. Era da una settimana che facevamo i provini, gli altri candidati e io. La fatica e i sogni di una vita intera, per il ragazzo di diciassette anni che ero, cresciuto con il modello di Buffon (sono juventino), e adesso era fatta: firmavo con gli allievi della Roma, diventava una cosa seria, da non crederci, era il momento di puntare tutto sul calcio».
«Ho cominciato a farfugliare scuse un po’ goffe, non so se me la sento, e poi chi mi accompagna agli allenamenti, e intanto c’era il mister imperturbabile che mi guardava con l’aria di chi pensa: ma sei scemo? Sentivo che non ero chiamato a fare questo, ecco. La mia vita intera, stava altrove. Avevo una fidanzata, la scuola, il calcio, gli amici che mi dicevano: ma che hai fatto? Ma c’era quella domanda, in me: Signore, non è che mi stai chiamando a un’altra vita? Quello è stato l’inizio del discernimento. I preti che avevo incontrato e vedevo felici. I racconti del missionario messicano Bernardo Torres che domenica mi metterà la casula. Due anni di missione in Brasile, gli anni del seminario. E i sei mesi come diacono a fianco del parroco don Francesco Zanoni, a San Giovanni Battista de la Salle, all’Eur, un’esperienza bellissima. Ora non c’è ansia, piuttosto un’emozione positiva, la verità è che mi sento felice e non vedo l’ora di cominciare». «Io sono sempre un portiere, prima negli Allievi dell’Ostia mare e poi nella Clericus Cup con la maglia del Redemptoris Mater. Ci sarebbe anche la coppa di calcio a 8, quella dove gioca pure Totti. Non ho mai difeso la porta contro di lui, abbiamo dovuto interrompere per il Covid. Ma non vedo l’ora».
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