La scorsa settimana, diocesi e Caritas del vicino territorio comasco hanno pubblicato un comunicato stampa congiunto in cui denunciavano il tanto discusso «decreto sicurezza» emanato dal ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini e si impegnavano come Comunità ecclesiale a continuare nell’accoglienza e nell’assistenza dei migranti. Abbiamo sentito Roberto Bernasconi, direttore della Caritas di Como (in foto), per capire di più sulle conseguenze di questo decreto e sulla situazione oltre confine.
Direttore, quali sono rischi e pericoli di questa presa di posizione da parte dell’attuale Governo? «C’è il rischio di trovare più gente per strada e di dare in mano alla malavita tante persone che non troverebbero più un’accoglienza strutturata ma solamente un posto per dormire. Non avendo possibilità di impiego o di inserimento, troverebbero altri sbocchi nella criminalità. Quindi, il decreto che voleva assicurarci una maggiore sicurezza espone tutti noi a una grande insicurezza».
Quali saranno invece gli effetti del «decreto sicurezza» nella diocesi comasca? «Per effetto del «decreto Salvini» diventerà sempre più difficile l’accoglienza nei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria): la permanenza in questi luoghi rimarrà solamente nei minimi termini, poi le persone verranno lasciate in strada. Il ministro sta infatti cercando in tutti i modi di far chiudere questi centri e noi ovviamente non lo vogliamo, essendo l’accoglienza nei confronti di queste persone uno dei valori fondanti della nostra realtà. Vogliamo dunque andare oltre le accuse che implicano di aver fatto tutto questo per soldi e ci impegniamo fin da subito a mettere le risorse della Caritas locale e della Chiesa diocesana. La Comunità cristiana vuole infatti mettersi a servizio fin in fondo, tirando fuori tutte le proprie energie».
Dunque, come pensate di muovervi? «In questo momento sul territorio della diocesi stiamo accogliendo ancora 400 persone, collocate in una sessantina tra centri parrocchiali e strutture religiose. A breve, conseguenza dell’attuazione del decreto, parte di queste strutture rimarrà vuota e noi vorremmo riciclare tali luoghi, e se possibile individuarne altri, per fare un servizio di seconda accoglienza a carico della comunità ecclesiastica, dedicato in particolare a coloro in attesa di permesso o rimasti fuori dai CAS e alle persone più vulnerabili, donne con bambini o malati psichici ad esempio. Dovremo dunque creare anche un supporto sia a livello economico sia di persone disponibili a mettersi a servizio. Abbiamo inoltre una ulteriore ricchezza che è quella delle cooperative che già da tempo portano avanti un prezioso lavoro a favore dei profughi: il rapporto con la questura e la prefettura, la ricerca del lavoro, e tutto ciò che serve a rendere l’accoglienza davvero proficua verso una vera autonomia».
Il comunicato stampa della diocesi ha dichiarato che il decreto promuove un’accoglienza senza integrazione. Secondo lei è possibile realizzarla? In che modo? «Se dovesse essere applicato alla lettera, questo decreto ci costringerebbe a diventare dei carcerieri. Salvini ci impone infatti delle condizioni davvero molto restrittive e di chiusura per cui non ci sarebbe più possibilità di fare nulla: minima assistenza medica, niente scuola, niente avvio al lavoro o altre possibilità di integrazione sul territorio. Non siamo d’accordo con questa modalità ed è per questo che come diocesi e come Caritas abbiamo deciso, anche su invito del vescovo di Como, di denunciare la nostra opposizione attraverso il comunicato stampa».
C’è anche pericolo che salti qualche posto di lavoro tra gli operatori? «Purtroppo si; se cala il numero delle persone accolte non ci sarà lavoro per tutti. Stiamo cercando comunque di attrezzare le nostre cooperative perché trovino altre attività; quindi credo che lo scarto di persone sarà minimo».
Potrà in qualche modo subire cambiamenti anche il flusso illegale oltre confine? «Il movimento è molto più lento rispetto a un paio di anni fa. Sicuramente i passatori ci sono ancora quindi temo che se più gente rimarrà in strada, ci sarà un maggior flusso di quelli che tenteranno di passare verso il nord Europa».
Una delle grandi polemiche dei centri di accoglienza è legata al fattore economico e alla speculazione delle cooperative … il decreto impone infatti dei tagli anche in questi termini. Cosa cambierà? «Con l’attuazione del decreto, la quota a persona al giorno passerà da 34 a 21 euro, che in verità saranno poco più di 18 euro. Noi vorremmo fare una accoglienza di qualità e con questa quota non è assolutamente possibile: hanno deciso di tagliare i fondi a un servizio utile per la società che invece continua a vedere queste persone solamente come un peso e mai come una opportunità di crescita. I fondi che ci verranno a mancare con il decreto verranno dunque messi dalla comunità cristiana che si prenderà carico di questa dimensione di accoglienza».
Silvia Guggiari
Chiesa cattolica svizzera
https://www.catt.ch/newsi/introdotte-restrizioni-che-ci-rendono-carcerieri/