«»‹Il giubileo della misericordia in compagnia di Teresa di Lisieux – Di cosa aver paura?

2016-05-03 L’Osservatore Romano
I giorni di questo anno santo, che Papa Francesco ha voluto dedicare all’approfondimento della misericordia divina, stanno scorrendo pian piano, ricchi di frutti spirituali e di conversioni. Ho pensato che fosse bello e motivo d’ispirazione rifarmi al cammino percorso da Teresa di Lisieux che, a poco più di due anni dalla morte, decise di offrirsi vittima di olocausto all’Amore Misericordioso. Si tratta di un gesto carico di conseguenze per la sua vita spirituale come carmelitana, per la sua attività apostolica ma anche per noi e per tutta la Chiesa.

È il 9 giugno 1895, domenica, festa della Santissima Trinità, e Teresa nella narrazione che farà alla sorella madre Agnese di Gesù circa sei mesi dopo quel momento, ci mette al corrente sulle circostanze e i motivi di quella decisione. Leggendo il Manoscritto A (f 84r) rimaniamo colpiti dal punto di partenza della riflessione teresiana: «Ho ricevuto la grazia di comprendere più che mai quanto Gesù desideri essere amato». Dalla sorella Celina sappiamo che Teresa ha ricevuto questa grazia particolare durante la celebrazione della messa; si tratta pertanto di una grazia eucaristica. Ma, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Teresa non è colpita dall’amore di Dio per lei e per gli uomini, né pensa a quanto lei è chiamata ad amare Gesù. La novità di questo momento è che è stata aiutata a comprendere, più che mai, l’intensità del desiderio di Gesù di essere amato. Percezione, che d’ora in avanti, guiderà il ritmo della sua vita spirituale, anche come carmelitana.

La narrazione delle movenze riflessive di quel momento mostrano chiaramente che Teresa si chiede se la vita spirituale propostale nel monastero è in linea con questo principio guida. Scrive infatti: «Pensavo alle anime che si offrono vittime alla giustizia di Dio, allo scopo di stornare e di attirare su di sé i castighi riservati ai colpevoli» (Manoscritto A, f 84r). In realtà, come risulta dagli studi fatti al riguardo, il cammino spirituale proposto nei carmeli di Francia, e quindi anche a Lisieux, era quello di «pregare per i peccatori, di offrirsi per essi alla giustizia divina, e di supplire, con i rigori di una vita austera e crocifissa alla penitenza che essi non fanno, in modo che la carmelitana è incaricata di continuare e completare in qualche maniera l’opera di mediazione di Gesù Cristo».

Senza dubbio si tratta di una proposta di vita eroica, intesa a marcare profondamente la vita di una carmelitana. Eppure Teresa, che ha come suo programma spirituale quello di amare Gesù alla follia, di fronte a una tale proposta, che pur apprezza nei suoi contenuti, dichiara che: «Questa offerta mi sembrava grande e generosa, ma io ero lontana dal sentirmi portata a farla».

Questa giovane carmelitana — ha appena 22 anni — si trova in un momento particolarmente difficile della sua vita, ma dimostra una profonda maturità di giudizio unita a una certa audacia. Se da un lato è consapevole che sta percorrendo una strada tracciatale dallo stesso Gesù, dall’altra reagisce fortemente all’orientamento spirituale del suo monastero. Come si vedrà, sarà proprio in una attenta riflessione sulla «natura» di Dio che Teresa troverà la soluzione. Il suo problema, infatti, non è quello di pervenire a un cammino più facile e meno esigente e impegnativo in generosità oblativa, ma trovare una soluzione che meglio esprima le caratteristiche di quel Dio che essa segue fin dalla sua infanzia.

Teresa è consapevole, infatti, da un punto di vista teologico, che la giustizia «si estende solo sulla terra» mentre la misericordia «s’innalza fino ai Cieli». Per di più la sua esperienza personale è molto chiara: «A me Egli ha donato la sua misericordia infinita ed è attraverso essa che contemplo e adoro le altre perfezioni divine! Allora tutte mi appaiono raggianti d’amore, perfino la giustizia (e forse anche più di ogni altra) mi sembra rivestita d’amore». E, in questa linea continua: «Che dolce gioia pensare che il buon Dio è giusto, cioè che tiene conto delle nostre debolezze, che conosce perfettamente la fragilità della nostra natura. Di cosa dunque dovrei avere paura? Ah, il Dio infinitamente giusto che si degnò di perdonare con tanta bontà tutte le colpe del figliol prodigo, non deve forse essere giusto anche verso di me che sono sempre con Lui?».

La conclusione che Teresa ne trae non può essere che questa: «O Dio mio, esclamai dal fondo del mio cuore, non vi sarà dunque che la tua giustizia a ricevere anime che si immolano come vittime? Il tuo Amore Misericordioso non ne ha bisogno anche lui?» (ibidem). La prospettiva teresiana non è quella delle piccole virtù o dei piccoli gesti: si parla con chiarezza di una donazione vittimale. Non è quindi la paura a donarsi generosamente, in maniera eroica, a guidare Teresa, ma le caratteristiche intime di questo amore, che è misericordioso verso gli uomini; un Amore la cui proprietà è quella di «abbassarsi» (Manoscritto A, f 2v). Il Dio di Teresa si apre e si china verso l’uomo per comunicargli la pienezza della vita in cui risiede la sua felicità e attende dall’uomo una risposta di amore: «Gesù desidera essere amato».

Teresa è consapevole di come l’uomo si comporta di fronte a tale iniziativa divina d’amore: «Da tutte le parti è misconosciuto, respinto; i cuori nei quali tu desideri prodigarlo si volgono alle creature, chiedendo loro la felicità con il loro miserabile affetto, invece di gettarsi tra le tue braccia e accogliere il tuo amore infinito» (ibidem).

Ma se Gesù non è riamato, cosa avviene nel cuore di Dio, se così possiamo esprimerci? Teresa, nel successivo passaggio della narrazione scrive: «O Dio mio! Il tuo amore disprezzato deve restare nel tuo cuore? Mi sembra che se tu trovassi anime che si offrono come vittime di olocausto al tuo amore, tu le consumeresti rapidamente; mi sembra che saresti felice di non comprimere affatto i torrenti di infinite tenerezze che sono in te» (ibidem).

Teresa da tempo ha compreso che Dio è un «flusso di infinita tenerezza» ed è consapevole della profonda dinamica esistente tra l’amore divino e la risposta umana a tale iniziativa divina d’amore. Se il vero pericolo è che l’amore divino non si effonda sugli uomini perdonando e santificando, la decisione di Teresa non può che essere una sola: «O mio Gesù! che sia io questa felice vittima, consuma il tuo olocausto con il fuoco del tuo amore divino!» (ibidem).

Gli effetti di questa donazione vittimale sono così espressi da Teresa: «Madre diletta, lei che mi ha permesso di offrimi così al buon Dio, lei conosce i fiumi o meglio gli oceani di grazia che sono venuti ad inondare la mia anima. Ah, da quel giorno felice, mi sembra che ad ogni istante questo amore misericordioso mi rinnovi, purifichi la mia anima e non vi lasci nessuna traccia di peccato. Oh, come è dolce la via dell’amore! Come voglio impegnarmi a fare sempre, con il più grande abbandono, la volontà del buon Dio» (Manoscritto A, f 84r).

A noi che percorriamo lentamente questi giorni benedetti dell’anno santo, fa bene ascoltare ancora una volta la voce di questa giovane carmelitana; a lei chiediamo di poterla seguire nella via dell’amore.

di Claudio Maria Celli

Chiesa cattolica svizzera

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