Arte di vivere e vivere come arte – ovvero dalla Pasqua al vivere di ogni giorno e ritorno.

di Alberto Palese

Usciamo da una fila di giorni intensa, di vita condivisa che ci ha riunito con tutti i nostri fratelli, nel tepore delle nostre chiese, e più in là in tutto il pianeta e per tutto il tempo. Ora viviamo una festa esplosiva, una domenica lunga otto giorni che ci sta rilanciando nel ritmo quotidiano, in una vita vissuta sul confine tra… già, tra cosa?
In realtà i confini si sono moltiplicati, tutto è suddiviso, organizzato, specializzato, come ci appare evidente ora, dopo l’illuminante esperienza di comunione della Pasqua. Se lo guardiamo in questa luce il mondo ci appare sbriciolato, come un affresco finito in frantumi sul pavimento, dopo un terremoto o un’esplosione. Ricordate gli affreschi della basilica di Assisi caduti al suolo in migliaia di piccolissimi pezzi dopo il tremore della terra? Allora ricorderete anche il lavoro paziente durato anni di coloro che questi affreschi li hanno ricomposti, frammento dopo frammento, nascosti all’attenzione dei più.
La Pasqua ci spinge a essere come loro, perché c’è bisogno di discreti operai che aiutino a ricomporre il «quadro» della nostra vita comune. La vita delle nostre chiese è sterilmente suddivisa in settori – pastorali specializzate – che allontanano pietre vive da pietre vive, l’educazione è affettata in singole «educazioni a» che lasciano i ragazzi indecisi, senza sapere come usare i tanti strumenti che gli vengono raccontati, la vita nei nostri quartieri è sempre meno condivisa, e così la scienza, la politica… ognuno genera il proprio frammento, spesso difendendolo gelosamente dalle mani di chi vorrebbe ricomporlo, per potersi sentire «il primo» in qualche cosa: ›nessuno conosce bene come me questo sasso colorato’, e cioè – fuor di metafora – ›in questo campo sono il più esperto’ oppure ›sono il responsabile’ del sottosettore di nonsopiùcosa!
Lo so, indietro non si torna. Il sapere è troppo grande, le tecniche troppe, la società troppo complessa, ognuno di noi può solo capirne un poco. Fortunatamente ci si apre solo una strada: unirsi, condividere, cioè amare. Possiamo ritrovare un’unità, la bellezza dell’affresco, il senso e la felicità di una vita, solo unendo le persone, ognuna con il suo frammento colorato da condividere. L’unità sperimentata nella liturgia di Pasqua, e nelle belle tradizioni che la accompagnano possiamo portarla oltre, viverla nel nostro ramo di attività, anche se questo vorrà dire ›non essere più i primi in niente’, dovremo accontentarci di essere più felici! Papa Benedetto XVI nella sua omelia pasquale del 2006 ha scritto: «La Risurrezione non è passata, la Risurrezione ci ha raggiunti ed afferrati. Ad essa, cioè al Signore risorto, ci aggrappiamo e sappiamo che Lui ci tiene saldamente anche quando le nostre mani si indeboliscono. Ci aggrappiamo alla sua mano, e così teniamo le mani anche gli uni degli altri», non vorremo mollare la presa proprio ora!

Chiesa cattolica svizzera

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