Piazza San Pietro è in festa, gremita di cinquantamila fedeli, come è in festa la Chiesa universale che si arricchisce di due nuovi santi: Giovanni Battista Scalabrini e Artemide Zatti. Nella Santa Messa di canonizzazione dei beati, Francesco si sofferma nell’omelia su due aspetti: camminare insieme e ringraziare. Invita a superare la tentazione dell’autoreferenzialità per essere davvero Chiesa ‘sinodale’ e società inclusiva. Poi sottolinea l’importanza del ringraziare ogni giorno, vincendo insoddisfazione e indifferenza che – dice – «ci abbruttiscono il cuore». Un pensiero speciale lo dedica a braccio all’esclusione dei migranti che definisce «scandalosa, schifosa, peccaminosa, criminale». Infine, ancora a braccio, il suo pensiero per la migrazione preoccupante in Europa, quella degli ucraini che fuggono dalla guerra.
Il Papa commenta il brano dell’evangelista Luca che racconta la guarigione di dieci lebbrosi e l’unico ringraziamento che si leva proprio dal samaritano. Nessuna distinzione subentra tra lui, «una sorta di eretico» veniva considerato dagli ebrei, e gli altri nove. I malati di lebbra – una piaga fisica ma anche una malattia sociale, come ricorda il Papa – camminano insieme, «manifestano il loro grido nei confronti di una società che li esclude». Allora, colui che veniva additato come vero e proprio «straniero», fa gruppo. Perché, precisa il pontefice, «la malattia e la fragilità comuni fanno cadere le barriere».
Quando siamo onesti con noi stessi, ci ricordiamo di essere tutti ammalati nel cuore, di essere tutti peccatori, tutti bisognosi della misericordia del Padre. E allora smettiamo di dividerci in base ai meriti, ai ruoli che ricopriamo o a qualche altro aspetto esteriore della vita, e cadono i muri interiori, i pregiudizi. Così, finalmente, ci riscopriamo fratelli.
Il Papa cita pure la figura di Naamàn il siriano (della prima Lettura) che ha fatto un bagno di umiltà immergendosi nel fiume in cui si bagnavano tutti. È ciò che raccomanda anche a tutti noi il Papa, in ogni tempo, chiusi ciascuno nelle proprie ‘armature esteriori’: «Siamo tutti fragili dentro, tutti bisognosi di guarigione, tutti fratelli».
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