Sacro e profano: Mario Botta in mostra al Maxi di Roma

Grazie agli edifici di culto «mi sono state rivelate le radici profonde dell’architettura stessa, gli elementi fondativi del fatto architettonico » ( Il gesto sacro, Electa 2020): da molti anni Mario Botta riprende questo concetto. Esso aleggia anche nella mostra a lui dedicata e intitolata a «Sacro e profano» che si apre domani, 8 aprile, al Maxxi di Roma: «È la consuetudine, l’uso cui sono destinati – spiega – che distingue l’uno dall’altro spazio. Perché in realtà l’architettura già di per sé comporta l’idea del sacro: essa nasce infatti come l’atto primordiale del distinguere, del separare e racchiudere in un perimetro, definendo un microcosmo distaccato dal macrocosmo. E questo è un gesto sacro».

Eppure, malgrado queste sue radici, oggi l’arte del progettare appare lontana da quelle origini. Manca forse qualcosa nella preparazione accademica?

Inevitabilmente le scuole riflettono quanto avviene nel mestiere, e questo è legato a un mercato onnipresente, ossessivo e incalzante. Quando in pochi decenni si costruiscono miliardi di metri cubi, tutto viene travolto: la sacralità e l’impegno etico sono soverchiati, e con essi pure la dignità degli alloggi privati come anche l’armonia dei teatri, ridotti a meri palcoscenici. Il consumismo e la globalizzazione soffocano il valore del mestiere e gli strappano la capacità di rivolgersi all’anima. Ed ecco le città ovunque uguali, prive di identità. Anche i materiali perdono quella capacità espressiva che pure avrebbero se fossero ben conosciuti e opportunamente selezionati. Le individualità, le particolarità, le differenze, vengono cancellate. Lo stesso passaggio dall’esterno all’interno perde di significato, come se non esistesse più l’idea della soglia. A parte pochi esempi di maestri dalle grandi capacità, quanto è stato prodotto dai professionisti della mia generazione, ridotti come sono stati a servitori del mercato, lascia veramente tanto a desiderare.

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