Le Ceneri in tempo di guerra.

di Alberto Palese

Sono tempi foschi, in cui una guerra spietata si estende, anno dopo anno. Anche da noi non si respira un’aria salubre. La politica è fatta sempre più di accuse ed insulti, senza molte proposte. Attorno a me vedo sempre più persone decise a «far valere i propri diritti», che magari si sono attribuiti da soli, anche con la forza se necessario.
Qualcuno dirà: «Alberto, fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce». Vero. Io dal mio piccolo angolo non saprei dire quanti siano gli alberi che crescono, ma ne vedo molti. La cosa importante però non è cercare di misurare quanto bene si costruisca e quanto male si abbatta sugli uomini. La cosa importante è decidere dove vogliamo essere, cosa ci accingiamo a costruire.
Il giorno delle Ceneri, interrotte le tante routines che ci trascinano, con i sensi risvegliati dal digiuno, riemerge il desiderio prepotente di vita. Di fronte a tale desiderio luminoso risultano evidenti i mille legacci e fardelli che ci fermano, ci ottundono e rattristano. Ci rendiamo conto di quante scelte velenose abbiamo accumulato. Come non piangere, come non pentirsi… si apre un periodo di riflessione e ricerca davanti al Volto di Gesù.
Non basta capire che dobbiamo «fare questo e non fare quell’altro», anche perché non riusciremmo mai a calcolare le mille azioni della giornata, le piccole e le grandi. Dobbiamo piuttosto costruire una cultura che vada incontro alla vita. Qualcuno insinua che la cultura riguardi solo quelli che leggono tanti libri, lasciando intendere che è roba inutile se non dannosa. Invece la cultura è dare un senso alla nostra vita, un modo di essere tra gli altri e con gli altri. Questa è cultura, ed è di tutti. Per una cultura della vita è necessario far entrare il bene, nell’agire, nel vedere, nel nostro linguaggio, nelle abitudini.
Spesso abbiamo sentito parlare in lezioni e catechesi di una «cultura di morte»: un orizzonte buio che ci vede muti di fronte a ogni minaccia. Di fronte alla violenza e alla sete di morte delle guerre di questi anni dobbiamo riconoscere che non abbiamo risposte pronte che non siano di distruzione. La scelta tra pace e guerra sembra stia solo nel decidere se usare la forza o trattenerla. Nel tempo si sono costruite armi, strategie, preparati eserciti. Nel momento della paura non abbiamo altre risposte, e scateniamo un uso «liberatorio» della forza.
Non illudiamoci, nel mondo di oggi ancora è necessaria la forza e saperla usare. Ma ciò che lascia attoniti è la assenza di altre vie. Si ha come l’impressione che non si sia investito in relazioni di sviluppo, pensando che rinunciare alla forza sia sufficiente, non ci sia altro. Di fronte all’ondata migratoria con i mille problemi che porta con sé, lo vediamo, non è sufficiente «aprire la porta o chiuderla», comunque i deboli e gli innocenti soccombono. Lasciatemi pensare che nella salvaguardia della nostra civiltà e nella preparazione a gestire emergenze che ci colpiranno, avremmo dovuto impiegare lo stesso impegno nella ricerca, il lavoro lo studio e le risorse che hanno realizzato i nostri arsenali.
Se veramente oggi, Le Ceneri, sentiremo di nuovo zampillare prepotentemente questo desiderio di vita che tumultuosamente agitava i nostri giorni fatti di consuetudini, dobbiamo unirci al lavoro silenzioso dei tantissimi che scelgono una cultura della vita. In un’umanità globalmente connessa ogni azione, ogni parola, si ripercuote da uomo a uomo. Dai commenti sui social (spesso aggressivi, ahimé) alle grandi imprese umanitarie. La foresta che cresce è fatta di tante piccole foglie e non solo di forti radici e possenti tronchi. Dobbiamo avere fiducia che ogni volta che ascolteremo, impareremo, inventeremo un gesto di pace, che unisca e faccia crescere, non stiamo gettando una goccia del mare, ma partecipiamo alla crescita di un organismo meraviglioso, che riceve vita da ogni azione, del medico volontario in zone di guerra, come del più semplice di noi, nel giorno più banale.
Ricordiamocene al momento del nostro prossimo commento, della nostra prossima risposta. Abbiamo il compito di tessere una cultura della vita che possa generare le grandi cose, e di partecipare a grandi imprese – non importa se sconosciute ai più – che formino una cultura della vita.

Chiesa cattolica svizzera

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