Per leggere il Vangelo nel tempo di Natale

a cura del Coordinamento della Formazione Biblica della Diocesi di Lugano

Giovanni 1,1-18 (rito romano – commento di Ernesto Borghi[1])

Un inno di taglio liturgico apre il testo di Gv. In questi diciotto versetti il riconoscimento di Gesù come Figlio di Dio e Salvatore del mondo avviene su una base testuale di anima primotestamentaria, un modello della riflessione sapienziale, in cui la sapienza che si trova presso Dio al momento della creazione ed in essa, si manifesta nella storia di Israele fino a identificarsi più tardi con la Tôràh[2]. Il prologo giovanneo «sostituisce il concetto di sapienza con quello di Parola (ndr: Logos) e polemizza con la riflessione sapienziale segnalando che l’ultima e più completa manifestazione della Parola/sapienza non è la Legge, ma Gesù Messia, espressione della gloria di Dio (1,17); indica così l’articolo centrale del credo giovanneo… Tutto il vangelo può essere considerato come lo sviluppo di questo articolo»[3].

«1In principio era la Parola (d’amore)[4], e la Parola (d’amore) era rivolta verso Dio ed era, la Parola (d’amore), Dio. 2Lei era, in principio, rivolta verso Dio. 3Tutte le cose attraverso di lei vennero all’esistenza, e senza di lei nulla di ciò che esiste venne all’esistenza. 4 In lei vita era, e la vita era la luce degli umani; 5 e la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno dominata.

6Ci fu una persona, mandata Рper decisione definitiva Рda Dio: il suo nome (era) Giovanni. 7Egli venne per una testimonianza, per dare testimonianza a proposito della luce, perch̩ tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce, ma (era) per rendere testimonianza a proposito della luce.

9La luce, quella vera, quella che illumina ogni umano, stava venendo nel mondo. 10Nel mondo era, e il mondo venne all’esistenza per mezzo di essa, eppure il mondo non l’ha (ri)conosciuta. 11Venne fra i (beni) che gli appartengono, ma le persone che gli appartengono non l’hanno ricevuta. 12A quanti però l’hanno accolta, ha dato potere di diventare figli e figlie[5] di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di essere umano, ma da Dio sono stati generati.

14E la Parola (d’amore) si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. 15Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me». 16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto cioè grazia al posto di grazia. 17Perché la Toràh fu data per mezzo di Mosè, l’amore e la vera fedeltà vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nella piena intimità del Padre, egli ne è stato l’autentico interprete.

vv. 1-5: questa prima parte, di valenza cosmica, è centrata sul ruolo della Parola divina che è eterna, crea e dà la vita, perché all’origine del mondo «vi è il mistero di Dio che risplende mediante il suo Lògos e che pone ogni essere in dialogo con lui»[6]. Tale fisionomia attiva del Lògos si confronta con la libertà dello scegliere umano: quando il testo giovanneo scrive che la «luce brilla nelle tenebre» (v. 5), indica il mondo degli esseri umani, che, proprio quando rigetta la luce, diviene tenebra, ossia sede dell’incredulità[7].

vv. 6-14: la seconda parte, più manifestamente storica, delinea gli effetti della presenza del lógos nel mondo, culminata con l’incarnazione divina. Due sono gli aspetti qui significativi: i riferimenti a Giovanni il precursore ; l’assunzione della condizione umana da parte di Dio.

 Â»Â«¢ i riferimenti a Giovanni il precursore: il suo ruolo, ad un tempo positivo e subordinato rispetto a Gesù, viene ribadito con forza (vv. 6-8). Questa presentazione, come, d’altra parte, il riferimento del v. 15, ottiene un doppio vantaggio: anticipa già nel corso dell’inno il racconto evangelico, che inizierà al v. 19 proprio con la figura del Battezzatore; quindi ripartisce opportunamente l’inno nelle sue tre parti fondamentali. Di Giovanni viene sottolineata la funzione testimoniale: sin dall’inizio della versione giovannea, la testimonianza accompagna la rivelazione del Cristo come la sua ombra attraverso una presa di posizione esistenziale a favore della persona di Gesù, di cui il Battezzatore viene menzionato come il primo realizzatore[8];

«»¢ l’assunzione della condizione umana da parte di Dio: nei vv. 11.12 e, soprattutto, nel v. 14) l’ingresso divino diretto nella natura umana si dà essenzialmente per le sue ricadute relazionali nei confronti degli individui: «nella parola diventata carne si ha la dimora definitiva di Dio nella storia umana. Per la prima volta i destinatari dell’azione del lógos emergono come gruppo personalizzato del quale l’autore si fa portavoce: «noi». «I destinatari della presenza del lógos incarnato sono quelli stessi che hanno intravisto per mezzo della fede la «gloria» di uno che è riconosciuto come «l’Unigenito del Padre, pieno di grazia e verità»… È questa relazione unica e intensa propria di un figlio unico e amato che costituisce la «gloria» contemplata dal gruppo credente nella presenza della parola diventata carne»[9].

vv. 15-18: la terza parte, di ambito teologico-ecclesiale, prospetta i benefici di salvezza recati dalla Parola nella vicenda umana. Si parte dal rinnovato accenno al ruolo del Battezzatore e si sottolinea le peculiarità decisive dell’esistere del Cristo[10]: la manifestazione dell’amore divino in tutta la sua autenticità e l’esclusiva sulla rivelazione dell’identità di Dio. «Gesù è così inseparabilmente la verità dell’essere umano e la verità di Dio, non come dottrina, ma come presenza di essere e attività. Rivela cos’è l’uomo perché è la realizzazione piena del progetto creatore: l’Uomo completato, il modello di Uomo (l’Uomo/il Figlio dell’uomo). Rivela cosa è Dio dando la sua vita per dare vita all’uomo, rendendo così presente e visibile l’amore incondizionato del Padre (il Figlio di Dio)»[11]. I vv. 16-17 sono chiarissimi: al dono della Toràh subentra quello della Nuova Alleanza: «ovviamente non si afferma che è stato interrotto il flusso della grazia. Sarebbe infatti antigiudaico ritenere che l’evangelista non consideri «grazia» l’antica economia: non dimentichiamo Gv 4,22 (»la salvezza viene dai giudei»). Ma l’idea di sostituzione (e non di cumulazione) è la sola corrispondente per l’evangelista», come indica, senza equivoci, il v. 17[12]. E nell’argomentazione dello stesso v. 17 non vi è un giudizio negativo sulla Toràh, ma, in una logica assolutamente analoga a quella rabbinica, la registrazione di una modalità diversa di leggerla, mettendo in evidenza un apporto specifico e significativo di Gesù Cristo nella comprensione della stessa Toràh. In Gesù Cristo si rendono presenti la «grazia e verità» (hesed we’emet) che devono guidare nel giusto giudizio gli interpreti della Toràh (Gv 7,24)[13].

E il v. 18 ha una rilevanza davvero culminante: «Colui che è nell’intimità del Padre, costui ne è stato la spiegazione». Che cosa vuole dire l’espressione: intimità del Padre?[14] In molti quadri rappresentanti l’ultima cena e non solo nell’affresco di Leonardo c’è un personaggio che viene ritratto in modo piuttosto costante: è il discepolo prediletto, tutto lì accoccolato a fare le fusa a Gesù. L’evangelista dice che Gesù è «nel seno del Padre«, che è un’espressione ebraica che significa «nella piena intimità del Padre«. «Solo chi è nella piena intimità del Padre, costui ne è la spiegazione«; in greco è exeghèsato, il far comprendere il senso di qualcosa. L’unico che fa comprendere chi è Dio, chi è? Chi può accedere alla pienezza dell’intimità, cioè Gesù, e Gesù non ritiene questa pienezza d’intimità una prerogativa esclusiva, ma la offre ad ogni essere umano.

Con questo v. 18 termina il prologo, e dopo questo prologo comincia il Vangelo. In pratica, il prologo si conclude con l’espressione: «Dio nessuno l’ha mai visto; l’unico che ne ha la spiegazione è Gesù», che probabilmente potrebbe essere tradotta anche meglio così: l’unico che ne è la spiegazione è Gesù».

Luca 4,14-22 (rito ambrosiano – commento di Elena Chiamenti[15])

Ci troviamo all’inizio della vita pubblica di Gesù che, nel racconto lucano, avviene a Nazaret. Il primo discorso/annuncio di Gesù, a questo punto della grande narrazione lucana, assume un carattere programmatico poiché vi sono condensati i tratti principali di quella che sarà tutta la sua predicazione. Dopo il sommario introduttivo di 4,14-15 abbiamo in 4,16-30 un condensato della teologia lucana che fa concentrare l’attenzione del lettore sulla figura di Gesù come compimento della Scrittura e annuncio definitivo di salvezza (vv. 20-21). Il Messia non è più solo oggetto di speranza ma è presente in Gesù e la salvezza si compie nella sua persona, nella sua parola e nei suoi gesti.

14Gesù ritornò in Galilea nella potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta quanta la regione. 15Andava insegnando nelle loro sinagoghe glorificato da tutti. 16E giunse a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò per leggere (il testo biblico). 17Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia ed egli, svoltolo, trovò il passo dove era scritto: «18Lo Spirito del Signore (è) sopra di me; per questo ha consacrato con l’unzione me, per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per questo ha inviato me, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi il ritorno della vista, per rendere liberi gli irrimediabilmente oppressi1, 19e predicare un anno di grazia del Signore» (Is 61,1-2; 58,6). 20Poi arrotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette. E gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. 21Allora cominciò a dire loro: «Oggi è stata adempiuta questa Scrittura (che ha risuonato) nei vostri orecchi». 22Tutti gli davano ragione ed erano stupiti delle parole straordinariamente gradevoli che uscivano dalla sua bocca.

vv. 14-15: Ecco un sommario di transizione tra l’elenco genealogico (3,23-38) e il discorso programmatico nella sinagoga di Nazaret. In 3,23 Luca ha dichiarato che Gesù «cominciò il suo ministero» a trent’anni e in 4,16-27 racconta il come egli intende svolgerlo. «La potenza dello Spirito» è quella che ha ricevuto nel battesimo (3,21) e che lo rende capace di profezia. La notizia che la sua fama si diffonde in tutta la regione è in realtà un’anticipazione, perché concretamente Gesù deve ancora iniziare il proprio operato.

vv. 16-20: La descrizione dei movimenti di Gesù nei vv. 16-17 e nel v. 20 fa da cornice alla citazione del profeta Isaia dei vv. 18-19. Con dovizia di particolari, infatti, Luca descrive al lettore la scena creando una sorta di rallentamento che fa crescere la suspense verso ciò che sta per proclamare. Le parole di Isaia, menzionando l’unzione dello Spirito Santo sul profeta, rimandano implicitamente alla scena del battesimo e così esplicitano la fonte dell’autorevolezza di Gesù. Il tema teologico dominante è quello della liberazione dai mali fisici e sociali; risuona nel testo originale greco (dunque nella nostra traduzione) la ripetizione del pronome «me» riferito al Nazareno: al centro della sua missione salvifica vi è il desiderio, la volontà e il potere divino di liberare l’uomo dall’egoismo, dal possesso e dalla lontananza da Dio.

v. 21: l’avverbio «oggi» pronunciato da Gesù è centrale nella pericope: il lettore lucano sta imparando a comprendere che tale indicazione temporale ha valore nell’immediato contesto narrativo, ma possiede un potere trasversale, che supera il limite del testo raggiungendo il tempo del lettore. L’«oggi» annunciato dagli angeli al momento della nascita di Gesù (2,11) indicava un giorno storico preciso ma rimane attuale per il lettore di ogni oggi; ugualmente per l’«oggi» della sua morte in croce (23,43). Nella sinagoga di Nazaret (4,21) dire oggi significa dare inizio all’anno di grazia, al tempo della salvezza di cui parla il profeta Isaia, che però non avrà una fine storica poiché quell’«oggi» è il Messia stesso. Egli è colui che Dio ha mandato per liberare i prigionieri, ridare la vista ai ciechi ed eliminare l’oppressione. Nel Nazareno l’essere umano di ogni tempo, a partire da quell’anno preciso, farà esperienza che il Liberatore non viene con violenza, ma compie l’opera di Dio facendosi incontro al povero, al debole e all’oppresso.

v. 22: la reazione dei presenti è accogliente, stupita non ostile ed esprime quello che spesso si trova nel testo lucano: l’incapacità dell’essere umano di cogliere tutta la profondità della novità introdotta da Cristo.

Per un’introduzione globale alla lettura dell’intero brano di Luca 4,14-30, è disponibile su internet la registrazione dell’intervento di analisi e commento in proposito a cura del Prof. Ernesto Borghi, nel quadro del corso ABSI «Lettura ecumenica del vangelo secondo Luca»


[1] Nato a Milano nel 1964, sposato con Maria Teresa (1999) e padre di Davide (2001) e Michelangelo (2007), è laureato in lettere classiche (Università degli Studi di Milano), licenziato in scienze religiose (Università di Fribourg), dottore in teologia (Università di Fribourg), baccelliere in Sacra Scrittura (Pontificia Commissione Biblica). È biblista professionista dal 1992. Insegna Introduzione alla Sacra Scrittura presso l’ISSR «Romano Guardini» di Trento e Sacra scrittura presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (Sezione San Tommaso d’Aquino) di Napoli. Dal 2003 presiede l’Associazione Biblica della Svizzera Italiana (www.absi.ch) e coordina la formazione biblica nella Diocesi di Lugano. Dal 2019 è coordinatore della Sub-Regione Europa del Sud e dell’Ovest della Federazione Biblica Cattolica (www.f-b-c.org). Tra i suoi libri più recenti: La giustizia dell’amore. Matteo 5-7 e Luca 6.11 tra esegesi ed ermeneutica, Effatà, Cantalupa (TO) 2021; (a cura di) GIOVANNI. Nuova traduzione ecumenica commentata, Edizioni Terra Santa, Milano 2021; (con F. Buzzi), Coscienza, riconoscenza e azione. Per cercare di essere umani, San Lorenzo, Reggio Emilia 2021.

[2] Cfr., in proposito, per es., Gb 28; Prv 8; Sir 24; Bar 3,9-4,4; Sap 6,1-11,3; Sal 19; 139.

[3] J. Mateos – J. Barreto, Il vangelo di Giovanni, tr. it., Cittadella, Assisi 19953, p. 35.

[4] L’espressione d’amore aggiunta da noi tra parentesi al termine «Parola» è un tentativo di esprimere adeguatamente il contenuto attivo e il movente creativo di tale «Parola», così come il prologo giovanneo la utilizza, dall’ebraico Dabar al greco Lògos, dai testi di Genesi alla fine della raccolta neo-testamentaria.

[5] La parola greca qui tradotta con figli e figlie significa, alla lettera, i partoriti e rispettivamente le partorite. La si ritrova anche in 8,39 e 11,52. Quanto al verbo partorire, Giovanni lo usa solo in 16,21.

[6] X.-L. Dufour, Lettura del vangelo secondo Giovanni, tr. it., 1, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1990, p. 118.

[7] Cfr. H. Van den Bussche, Giovanni, tr. it., Cittadella, Assisi 1974, p. 94.

[8] «Il quarto vangelo presenta tutta la vita di Gesù sotto l’aspetto di un conflitto con un mondo incredulo, che termina col processo di Gesù… La testimonianza di Giovanni non riguarda… dei fatti o degli avvenimenti, per esempio la fine della vita di Gesù e la sua risurrezione. Essa punta sulla persona di Gesù (Gv 1,15; 5,31-39; 8,13.14.18; 10,25): il suo ufficio di luce (1,7-8), la sua qualità di Figlio (1Gv 5,9)… La testimonianza di Giovanni Battista si rivolge, con tutta evidenza, a un’opposizione, e i contraddittori sono i Giudei del tempo di Gesù» (H. Van den Bussche, Giovanni, pp. 96-97.99).

[9] R. Fabris, Giovanni, Borla, Roma 1992, p. 154.

[10] Per quanto riguarda il v. 17 («Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo») l’interpretazione del testo sembrerebbe proprio essere la seguente: «la legge, dono di Dio tramite Mosè, ha un ruolo positivo in quanto prepara e preannuncia il momento della piena e definitiva rivelazione salvifica per mezzo di Gesù Cristo. In Gesù, riconosciuto nella comunità come «Cristo», il dono della salvezza e la rivelazione definitiva sono accessibili in modo pieno e permanente (cfr. Gv 14,6). La grazia e la verità del lógos sono personalizzati in Gesù Cristo» (ivi, p. 158). In questo quadro si consideri sempre il valore anche polemico delle argomentazioni dei giudei divenuti discepoli di Gesù Cristo rispetto alla componente giudaica rimasta tale.

[11] J. Mateos – J. Barreto, Il vangelo di Giovanni, p. 74.

[12] A. Belano, Chárin antì cháritos? (Gv 1,16): «grazia su grazia»?, in «Rivista Biblica» LIII (2005), 481-482. A conferma di questa sua asserzione l’autore riporta altri diciannove esempi neo-testamentari, in cui la preposizione antì esprime manifestamente il valore di sostituzione/opposizione, non di cumulazione (cfr. Mt 2,22; 5,38; 17,27; 20,28; Mc 10,45; Lc 1,20; 11,11; 12,3; 19,44; At 12,23; Rm 12,17; 1Cor 11,15; Ef 5,31; 1Ts 5,15, 2Ts 2,10; Eb 12,2.16; Gc 4,15; 1Pt 3,9).

[13] Cfr. G. Castello, La Legge nel Quarto Vangelo, in Giovanni e il giudaismo, a cura di D. Garribba-A. Guida, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2010, pp. 145.

[14] Queste osservazioni concernenti il v. 18 sono di Alberto Maggi (Assisi, 17-19 settembre 1993).

[15] Laica, cattolica, sposata, vive e lavora a Verona dove è nata nel 1982. Ha conseguito la licenza in teologia biblica nel 2012 e il dottorato nella stessa materia nel 2017 presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Spende la sua competenza teologia e biblica soprattutto in campo pastorale-catechistico: infatti ha collaborato con alcuni Uffici Catechistici Diocesani nel Triveneto per la formazione biblica di catechisti e educatori. Con la Diocesi di Concordia-Pordenone ha collaborato alla pubblicazione del progetto catechistico-liturgico Bambini a Messa. Itinerario con famiglie e comunità (anno C), EDB 2018 e ha pubblicato la sua tesi di dottorato dal titolo La sterile, madre di figli. La figura di Anna in 1Sam 1-2 come paradigma di maternità.

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/newsi/per-leggere-il-vangelo-nel-tempo-di-natale-2/