Il primo romanzo di don Alberto Ravagnani, il prete «social»

Cosa attendo io nella mia vita? E cosa attendono oggi i giovani? È quello che mi sono chiesto leggendo, anzi divorando, il recente romanzo di don Alberto Ravagnani, il «prete social» di Busto Arsizio divenuto popolarissimo durante il lockdown, quando ha cominciato a pubblicare video su youtube. Cosa attendiamo? Io, quarantenne padre di famiglia, i miei figli ai primi anni delle elementari, ma anche gli adolescenti (compresi quelli che si sono resi protagonisti degli incresciosi fatti degli ultimi mesi alla Foce di Lugano). Cosa attendiamo? Sembra una domanda banale, semplice. Ma la risposta non è altrettanto evidente. Prima di tutto dobbiamo capire se attendiamo qualcosa. Se la nostra vita è attesa di qualcosa. E già questo non è scontato. Perché troppo spesso le nostre giornate si trascinano nel lamento per ciò che dobbiamo fare, per una vita troppo frenetica, incasinata, stressante. E così facendo ci perdiamo ciò che di bello accade. Non è così per Federico e Riccardo, due ragazzi di 17 e 18 anni di Busto Arsizio protagonisti di «La mia vita e la tua» (Rizzoli 2021). Il primo frequenta l’oratorio di don Andrea (che sarebbe poi lo stesso don Alberto) e vive in una famiglia che definiremmo «per bene». Il secondo ha abbandonato la scuola, fa lo spacciatore, non ha mai conosciuto suo padre e cresce da solo la sorellina dal momento che la mamma è in ospedale per un tumore. Due vite apparentemente agli opposti (e infatti il primo incontro tra i due si risolve in un pestaggio), che non sembrano potersi incrociare. Ma quando, per caso, Federico incontra Riccardo in ospedale e viene a conoscenza del dramma che sta vivendo, sente il bisogno di cercarlo. Non per pietismo. Non per un atto di carità. Ma per un desiderio. Il desiderio che le loro vite non vengano sprecate. Non si fermino alla superficie. Entrambe. La mia vita e la tua, appunto. «Diventa suo amico», gli propone don Andrea quando Federico gli racconta quanto accaduto. «Perché ne ha bisogno. E perché credo nella Provvidenza». La Provvidenza. Ecco il punto. Federico affida il suo desiderio, il suo slancio, alla Provvidenza. È ben consapevole che da solo non può nulla. Men che meno farsi compagno di uno che solo pochi giorni prima lo ha preso a cazzotti. E con una tenacia e una forza che può venire – appunto – solo da un Altro, pian piano entra nella sua vita. Ne nasce un’amicizia vera. Profonda. Che non concede sconti, non nasconde nulla, anzi condivide tutto: l’oratorio e il giro dello spaccio, la visita dell’assistente sociale a casa di Riccardo e la cena a più portate a casa di Federico. E anche il rapporto con la ragazza motivo della lite al primo loro incontro. Un’amicizia in cui tutto viene messo a tema, e che proprio per questo pian piano converte i loro cuori. Sia quello di Federico, imborghesito da una vita tranquilla, sia quello di Riccardo, così drammaticamente ferito. Non sto a raccontarvi come va a finire. Niente spoiler. Dico solo che, man mano che la lettura avanza, ci si sente sempre più vicini a questi due ragazzi. Che in fondo siamo anche un po’ tutti noi. E che ci interrogano. Sulla nostra vita, sulle nostre amicizie, sul senso ultimo della nostra esistenza. Come a un certo punto fa Federico con il medico che ha in cura la madre del suo amico. «Tu credi in Dio?», gli chiede. «Non abbastanza, forse. Comunque la domanda è mal posta, così non vuol dire nulla. Puoi credere in Dio solo se lo conosci, altrimenti la fede è solo superstizione». «Quindi – ribatte Federico – cosa dovrei chiederti?». «Se ho incontrato Dio oppure no». Sbam. Un incontro. Ecco cosa attendo io nella vita. Che questo incontro riaccada ogni giorno.

di Gregorio Schira

Chiesa cattolica svizzera

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