Afghanistan: Questi cosiddetti «studenti» non sanno nulla di religione

Lunedì 30 e martedì 31 agosto, l’Istituto «Religione e Teologia» della Facoltà di Teologia di Lugano (FTL) ha avuto in programma un incontro su un tema attualissimo, ossia il rapporto che intercorre tra le religioni e le fedi. Tra i diversi relatori che son intervenuti vi è anche l’imam Yahya Pallavicini, presidente della Comunità religiosa islamica italiana (COREIS). Ne abbiamo approfittato per porgli alcune domande su quanto sta avvenendo in Afghanistan.

In che modo la COREIS sta vivendo il dramma che si sta consumando in Afghanistan in questi giorni?

«Viviamo questa situazione di attualità con grande preoccupazione e amarezza. Il nostro lavoro è di evitare che si accosti questa violenza all’islam e che si distingua la vera civiltà, religione e spiritualità islamica, dall’abuso che ne fanno i talebani e altri fondamentalisti. Aiutando, da un lato i cittadini musulmani in Occidente a non lasciarsi influenzare, condizionare o reclutare da queste ideologie perverse e dall’altro mediando e collaborando con le istituzioni occidentali senza che ci siano baratti o confusioni possibili: i criminali vanno perseguiti secondo giustizia e i cittadini credenti vanno difesi nei loro diritti».

Chi sono i talebani che hanno ripreso in mano il Paese?

«Il termine talebani etimologicamente deriva dal termine arabo taleb che vuol dire studente. Inizialmente essi erano un gruppo di studenti di cosiddette «scuole coraniche». Ho l’impressione che ci siano stati dei cattivi maestri e quindi l’insegnamento che di fatto hanno memorizzato, non ha nulla a che fare con la scienza sacra della religione, dell’ermeneutica né con l’interpretazione della rivelazione, quanto piuttosto con la memorizzazione di slogan che sono serviti ad auto-lavarsi il cervello e a cercare una legittimazione per questa violenza che è anche fratricida. Affidare a questi «cattivi studenti» la responsabilità di gestione di un governo, di un popolo, di un territorio è quanto di più preoccupante ci possa essere, poiché non ascoltano né il grido di aiuto del proprio popolo, né possibili azioni diplomatiche di governi confinanti, né tanto meno vogliono essere corretti in teologia o in diritto islamico, perché hanno una presunzione formativa che li fa sentire dalla parte della ragione e li rende sordi a qualsiasi tipo di interlocuzione».

Drammatica si è ripresentata la questione della tutela delle donne. Una giovane afghana ha detto in un video che «piange giorno e notte nel vedere i talebani costringere le ragazze a sposare i combattenti ». Da parte loro, i talebani hanno fatto sapere che le donne non hanno nulla da temere perché potranno godere delle libertà e dei diritti che accorda loro la sharia. Ma cosa dice la sharia delle donne?

« La sharia da un punto di vista dottrinale è un diritto che dà un orientamento religioso ai credenti musulmani e, nel merito, nella gestione del rapporto fra uomo e donna.Ho l’impressione che questi cosiddetti «studenti talebani» non sappiano né cosa sia la sharia, né quale sia il suo insegnamento, né quale sia il contesto per eventualmente applicarla con saggezza, né che sappiano quali sono le specifiche norme che possono regolare con dignità piena il rapporto tra uomo e donna. La loro interpretazione è maschilista e viene intesa come estremismo barbaro nei confronti di anziani, giovani e soprattutto, le donne. Non c’è da credergli, almeno dal mio punto di vista, quando affermano di voler tutelare la dignità della donna secondo la sharia, per il semplice fatto che non la conoscono: non conoscono il contesto e il metodo per applicarla con saggezza e hanno dimostrato uno scarso rispetto per la natura femminile in tutti i sensi. In questo contesto di estremismo, violenza, sopraffazione, uso irregolare delle armi e ignoranza della saggezza e della sensibilità spirituale della propria religione da parte dei talebani, la sharia non può essere saggiamente interpretata. Mancano i presupposti di base e oso dire anche l’onestà intellettuale per un buon governo».

Nel 2019, il 4 febbraio, è stato firmato ad Abu Dhabi il documento sulla fratellanza umana, sottoscritto da papa Francesco e dal grande imam di Al-Azhar, Ahamad al-Tayyib. Non potrebbe, questo documento avere un qualche potere per limitare o arginare quanto sta succedendo in Afghanistan oggi?


«Sì, potrebbe. Ho avuto l’onore di essere tra le centinaia di invitati presenti alla sua firma, ad Abu Dhabi. È stata una tappa fondamentale per la fratellanza umana e per il rispetto della vita di credenti e cittadini. Con contenuti che sono veramente di grande incisività in tutti i campi del sapere e della vita sociale. E anche la recente visita di papa Francesco in Iraq, con l’incontro con l’Ayatollah al-Sistani conferma questo modello fondamentale per una maggiore comprensione tra i popoli e i credenti. Il problema è che in Afghanistan mancano le coordinate di base per sintonizzarsi su questo livello. Quindi dobbiamo proseguire nel sostenere questo messaggio declinandolo fattivamente in tutti i campi, sia in Oriente che in Occidente. Se questo lavoro viene fatto seriamente e in maniera costante, funge anche da antidoto alla violenza. Quando invece ci sono cellule impazzite è come se si desse un libro in una lingua ispirata a qualcuno che non sa leggere quella lingua. Quindi il problema è che bisogna ricominciare dalla grammatica».


di Corinne Zaugg

Chiesa cattolica svizzera

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