San Giuseppe, un uomo capace di amare e di ascoltare la voce di Dio

Si incastrano come scatole cinesi gli anniversari che papa Francesco inanella l’uno dentro l’altro, secondo la logica del «tutto è connesso». L’8 dicembre del 2020 – festa dell’Immacolata – papa Francesco annunciava per il 2021 un anno dedicato a San Giuseppe, sposo di Maria e padre putativo di Gesù. Mentre, il 19 marzo prossimo, in occasione del quinto anniversario dell’esortazione apostolica «Amoris laetitia», dedicata alla bellezza e alla gioia della famiglia, il Papa inaugurerà l’anno «Famiglia Amoris laetitia», che si concluderà il 26 giugno 2022, con il X Incontro mondiale delle famiglie, a Roma.

In questi tempi di delicati equilibri esistenziali, che hanno messo in risalto la fragilità e la vulnerabilità di tutti noi, il Papa punta sulla famiglia, per ridare speranza e stabilità, soprattutto ai giovani: forse, ma lo sapremo solo più in là, quelli che hanno pagato e pagheranno il prezzo più alto alla situazione generata dal Covid-19 e dalle sue varianti. Ma torniamo a san Giuseppe, di cui si celebrerà la ricorrenza venerdì prossimo e a cui è dedicato l’anno in corso, in occasione dei 150 anni dalla sua proclamazione, da parte di Pio IX, a patrono della Chiesa universale. Chi fu Giuseppe, che un’iconografia diffusa ci ha abituato a immaginare uomo vecchio e dalla barba fluente, di cui non una parola è stata riportata dai Vangeli? Papa Francesco, nella lettera apostolica «Patris corde», lo definisce con lapidaria semplicità «uno che ha amato». E paragona la vita di questo uomo straordinariamente comune «alle nostre vite tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma che, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo (…). Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera».

Ed è proprio questo suo amore silenzioso che si è fatto gesto, agito, fare, che ci viene proposto quale esempio da seguire. Ne parliamo con don Giuseppe Mattanza, parroco a Tignale sul lago di Garda e rettore del santuario di Montecastello. Alla Facoltà di teologia di Lugano, durante questo semestre, sta proponendo un corso proprio su san Giuseppe, avendo dedicato nel 2019 alla sua figura, un lavoro di dottorato dal titolo «San Giuseppe, capo della Sacra Famiglia nel magistero pontificio da Pio IX ai nostri giorni».

Don Giuseppe Mattanza, abbiamo visto che di san Giuseppe si sa poco e che a… parlare per lui è soprattutto il suo silenzio.

«Sì è proprio il suo silenzio a renderlo grande. È un uomo il cui parlare… fu l’agire. Possiamo indovinare il suo pensiero dalla prontezza del suo fare. Una prontezza che scaturisce dai suoi sogni. E sappiamo che Dio si manifesta spesso nei sogni per chiedere la collaborazione degli uomini. Ben quattro volte Dio si rivela a Giuseppe: riguardo al concepimento di Gesù, suggerendogli di fuggire in Egitto, poi di farvi ritorno e infine, nella scelta di abitare a Nazareth, in Galilea. E tutte le volte, Giuseppe trasforma questi sogni in agire concreto».

Quale fu il ruolo nella storia della salvezza di questo uomo silenzioso e… sognatore?

«Purtroppo ancora oggi non gli si dà il giusto risalto. E si tende a dimenticare che se non fosse stato per lui, Maria sarebbe stata condannata dalla cultura ebraica di allora e che fu solo grazie alla sua presenza silenziosa ma concreta che Maria poté portare avanti la sua gravidanza senza dar adito a scandalo. Dio ha avuto bisogno di Maria, ma non ha potuto fare a meno neppure di Giuseppe, della sua paternità collaborativa».

Fu sposo e anche padre. Un padre che seppe dare spazio ad un altro Padre.

«Sì, se Gesù ci ha saputo regalare tante immagine bellissime di paternità, se ha saputo vedere la tenerezza di Dio in suo padre, è perché Giuseppe ha saputo trasmettergli nella semplicità della vita quotidiana, questo modo di essere. Accogliendolo dapprima come figlio suo, accompagnandolo poi nelle successive tappe della sua crescita, trasmettendogli quello che lui sapeva e conosceva. Giuseppe, dà a Gesù il senso della quotidianità. E come tante mamme e tanti padri di tutti i tempi, anche i genitori di Gesù hanno lasciato nel loro figlio, una traccia indelebile fatta più che di parole, di gesti semplici e concreti».

Il Papa ha indetto un «Anno della famiglia»

In occasione del quinto anniversario dell’esortazione apostolica Amoris laetitia papa Francesco ha indetto a partire dal 19 marzo, un «Anno della famiglia» per far maturare i frutti dell’esortazione apostolica post-sinodale e rendere la Chiesa più prossima alle famiglie nel mondo, messe alla prova in quest’ultimo anno dalla pandemia. L’anno, coordinato dal Dicastero vaticano per i laici, la famiglia e la vita, si concluderà il 26 giugno 2022, con il decimo Incontro mondiale delle famiglie, che si terrà a Roma.

Corinne Zaugg

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/newsi/san-giuseppe-un-uomo-capace-di-amare-e-di-ascoltare-la-voce-di-dio/