Gli Stati uniti sono un Paese diviso, come lo è il suo mondo religioso

Di Gioele Anni
Massimo Faggioli, docente negli Usa, descrive il dibattito interno alle comunità religiose


In un blog online, Massimo Faggioli si definisce «italiano e americano». Nato nel 1970 in provincia di Ferrara, laurea in Scienze politiche e dottorato in Storia religiosa, nel 2008 si trasferisce negli Stati Uniti. Dal 2016 è docente ordinario nel dipartimento di Theology and Religious Studies alla prestigiosa Villanova University di Philadelphia. Il suo ultimo saggio, «Joe Biden e il cattolicesimo negli Stati Uniti» uscirà a breve per Editrice Morcelliana. Da storico ed esperto della Chiesa, il prof. Faggioli offre il suo punto di vista sulla realtà statunitense dopo le ultime votazioni.

Professor Faggioli, qual era il clima che si respirava intorno al 3 novembre, giorno delle elezioni?
Lo Stato in cui vivo, la Pennsylvania, ha avuto un ruolo decisivo per la vittoria di Biden. Le città erano schierate piuttosto chiaramente a suo favore, mentre nelle zone periferiche c’era forte consenso anche per Trump. La spaccatura si è riflettuta anche sulle comunità cattoliche, che spesso hanno preferito non prendere posizione a favore dell’uno o dell’altro candidato. Negli Usa le parrocchie si sostengono interamente sulle donazioni dei fedeli, dunque la scelta di schierarsi può avere una ripercussione anche dal punto di vista economico.

Si è parlato molto del voto dei credenti. Qual è oggi la situazione negli Stati Uniti?
Un tempo gli Usa erano identificati piuttosto chiaramente come un Paese a maggioranza protestante. Oggi non è più così, perché questo è un paese multireligioso. Come mostrano i dati del Pew Research Center le Chiese protestanti sono frazionate in decine di movimenti, alcuni definiti «post-protestanti» e legati al «Vangelo della prosperità» che ben poco ha a che fare con la teologia della Riforma. In questo scenario, il voto cattolico ha assunto un peso maggiore: i cattolici sono circa il 20% della popolazione, ma oggi ne rappresentano il blocco più omogeneo.

Lei ha parlato di un «osceno intreccio tra politica e religione negli Usa di oggi». Cosa significa?
Qui religione e politica sono sempre state interconnesse. Non sul piano giuridico perché la separazione tra Stato e Chiese è netta, infatti non c’è una religione nazionale né un concordato che definisca i rapporti con le varie comunità. Piuttosto, sul piano culturale: il concetto europeo di laicità non fa parte del pensiero statunitense, anzi molti credenti – soprattutto protestanti – vorrebbero che le leggi statali rispecchiassero pienamente le loro convinzioni di fede. In questo contesto si è inserita l’azione di Donald Trump.

Ovvero?
Il Presidente uscente ha cercato di utilizzare in modo partigiano i sentimenti religiosi degli elettori. Ci sono stati dei gesti eclatanti: dalla foto con la Bibbia davanti alla Chiesa episcopaliana di Washington, durante le proteste del movimento Black Lives Matter; al supporto ai messaggi dell’ex nunzio Carlo Maria Viganò contro Papa Francesco. Nella dinamica interna al mondo cattolico, proprio il Papa è stato bersaglio di Trump. Il Presidente ha cercato di spaccare in due l’elettorato cattolico, tra chi stava dalla sua parte e chi invece stava con il Pontefice. Un atteggiamento senza precedenti.

Quali sono i temi più dibattuti nelle comunità religiose statunitensi?
Sicuramente l’aborto, da sempre argomento divisivo nel dibattito pubblico e che negli ultimi anni si è ulteriormente polarizzato. Trump ha cercato il sostegno dei credenti anche sul tema dell’immigrazione, o in opposizione all’agenda dei movimenti Lgbt. Altri argomenti dibattuti riguardano l’emergenza climatica o la sanità pubblica, su cui invece ha insistito molto Joe Biden. Negli ultimi mesi, infine, la gestione della pandemia è divenuta centrale e ha diviso anche i credenti.

Quale sarà, nel mondo religioso, l’eredità di una stagione così conflittuale all’interno della politica statunitense?
La retorica di Trump è stata accolta, con modalità diverse, tanto in ambienti protestanti che in quelli cattolici. Non si è trattato a mio parere di una fugace congiunzione di interessi, piuttosto di un incontro che ha rivelato una certa ansietà del mondo conservatore davanti alla secolarizzazione crescente e a una teologia intesa come troppo liberale: Trump si è posto consapevolmente come «difensore» di queste istanze. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica nello specifico, è difficile prevedere i prossimi sviluppi. Mi pare che il «trumpismo» e l’opposizione a Francesco abbiano diversi elementi in comune: immagino che la spaccatura proseguirà anche sul piano ecclesiale, con i seguaci di Trump che forse dovranno trovare un nuovo punto di riferimento.

Chiesa cattolica svizzera

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