Dalla Parola di Dio alla vita per tutti: commenti ai testi biblici del tempo di Natale (II)

a cura del Coordinamento della Formazione Biblica della Diocesi di Lugano

Questa è la seconda puntata del nostro percorso di confronto con alcuni testi biblici delle celebrazioni eucaristiche di rito romano e ambrosiano tra Natale e l’Epifania. I testi evangelici proposti in questa prima giornata dell’anno 2021 sono già stati commentati, quando la liturgia li ha proposti, più o meno completamente, il giorno di Natale[1]. Abbiamo pensato, pertanto, di concentrarci sulle seconde letture, entrambe tratte da lettere dettate direttamente da san Paolo, cioè la lettera ai Galati e la lettera ai Filippesi.

Saremo lieti di conoscere l’opinione su di essi delle persone che leggeranno questi contributi (scrivano pure a: info@absi.ch) sia per stabilire un dialogo con loro sia per avere stimoli a migliorare costantemente quanto sarà proposto, settimana dopo settimana, in queste pagine elettroniche… 

Galati 4,4-7 (rito romano – commento di Ernesto Borghi[2])

4Ma quando il tempo fu pienamente compiuto, Dio mandò suo figlio, nato da donna, nato sotto la Torah, 5per riscattare coloro che erano sotto la Torah, perché ricevessimo in dono di essere figli. 6E per il fatto che voi siete figli Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: «Abbà, Padre!». 7Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se sei figlio, sei anche erede tramite Dio. 

In questo passaggio della lettera ai Galati si notano temi di intensità tale da far pensare che si sia nel centro teologico dell’intera epistola: schiavitù e adozione filiale (4,1.3.5); azione redentrice del Figlio e lo status umano sotto la Torah (4,4-5); l’invio dello Spirito (4,6) e la condizione degli esseri umani come eredi divini (4,7). 

La venuta storica di Dio in Gesù di Nazareth, originata dalla scelta diretta divina, è il discrimine fondamentale nella storia dell’umanità. L’invio del Figlio è inserito obiettivamente per nascita e per cultura nella storia umana e, in particolare, in quella giudaica (v. 4), segno evidente questo della volontà del Signore Dio di venire incontro agli esseri umani nella concretezza della loro condizione. 

Lo scopo di tale dono divino culminante è uno solo: liberare tutti da ogni soggezione alle norme pure e semplici della Torah, così da creare le condizioni per un reale rapporto tra gli individui e Dio stesso. Tra l’obbedienza a delle regole e l’obbedienza ad un Padre anzitutto amorevole vi è una sostanziale, grande differenza (v. 5). 

La libertà liberante avvolge anche strutturalmente tutto. Dal v. 4 al v. 5 il testo sottolinea un’apertura esistenziale, che fa notare il senso di esaltante e responsabilizzante allargamento di vita che il Dio di Gesù Cristo propone a chi gli si affida: «la parola «Abbà» implica tenerezza, familiarità, confidenza. La nostra esistenza, prima sotto il segno della schiavitù e della paura, cambia colore: è sotto il sorriso di un amore paterno, sicuro e libero. Diventa gioia, apertura e «sì» a Colui che da sempre è «sì»»[3].

I vv. 6-7 acuiscono l’intensità del rapporto divino-umano che l’Apostolo intende delineare. Tutti insieme, Paolo compreso – provenienti dal giudaismo e dal paganesimo – dalla scelta di una relazione stretta con Dio padre non possono che condividere, nel cuore e nella pratica quotidiana, questo: la vitalità che ha contraddistinto il Figlio per antonomasia, Gesù Cristo, ossia l’amore appassionante, crocifisso e risorto (cfr. anche Rm 8,14-16)[4].

Il superamento della sudditanza nei confronti della Torah fine a se stessa e la disponibilità effettiva nei confronti della vita proposta dall’esistenza del Cristo di Nazareth sono definitivamente riaffermate. La liberazione da schiavo a figlio crea un legame umanizzante che si realizza dal Padre, che dona se stesso nel Figlio, ai figli, tutti gli esseri umani, che ricevono questo dono e sono effettivamente figli (= in stretto rapporto con Dio), se accettano di riceverlo[5].

Filippesi 2,5-11 (rito ambrosiano – commento di Ernesto Borghi)

«5Abbiate in voi lo stesso orientamento interiore che fu in Cristo Gesù, 6il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un possesso da difendere gelosamente il fatto di essere uguale a Dio; 7ma svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli esseri umani; apparso in forma umana, 8umiliò se stesso e si rese obbediente fino a morte e a una morte di croce. 9Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha donato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; 10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; 11e ogni lingua proclami Signore Gesù Cristo, a gloria di Dio Padre».

All’inizio di Filippesi 2 Paolo auspica, quindi, che tra i Filippesi stessi si possa costruire, in forma continuativa, una comunanza psico-affettiva e socio-culturale, in cui l’amore fraterno abbia un ruolo coagulante decisivo e le scelte esistenziali siano del tutto convergenti tra tutti, in modo che orientamento dello spirito, del cuore, la mentalità e lo stile di vita siano comuni.

v. 5: In questo quadro Paolo insiste per la terza volta (le altre due sono nei vv. precedenti di Fil 2) sull’orientamento interiore dei destinatari, a ribadire quanto egli reputi decisiva la conversione intima degli individui. Egli aggancia tale disposizione spirituale a quella presente in Cristo Gesù, che viene espressa attraverso un inno di notevolissima pregnanza, con ogni probabilità frutto di una tradizione liturgica pre-paolina che l’Apostolo ha integrato in questa sua lettera.

vv. 6-9: Essere Dio (v. 6) non significa vantare la propria superiorità sugli esseri umani, ma piuttosto dimostrare la propria divinità proprio nella disponibilità al servizio, al di fuori di qualsiasi ricerca di onori, potere o ricchezza, sino all’estremo di tale dedizione[6]

Tale estremo è raggiunto con la sottolineatura della morte e culmina nel tipo infamante e cruentissimo di questo decesso (= morte di croce)[7]. Si è trattato di una scelta libera nell’adesione ad una volontà esterna, accolta nel corso di un processo di coscientizzazione personale, che il Nazareno ha vissuto nella sua vita. 

È stata un’assunzione della condizione umana a partire dalla determinazione di esistere non per dominare, ma per servire. La generosità più benevola e altruistica costituisce il tessuto valoriale di questi versetti, che procedono secondo la prospettiva abbassamento/innalzamento. Infatti l’importanza dell’opzione di vita del Nazareno crocifisso e risorto è sancita dal valore oggettivo della decisione «operativa» di Dio: celebrare l’auto-donazione di Cristo collocando il suo soggetto in una posizione di eminenza del tutto opposta alla condizione scelta da Gesù Cristo stesso.

vv. 10-11: Il punto d’arrivo del discorso è profondamente liturgico: l’esaltazione divina del Crocifisso e Risorto ha lo scopo di suscitare un’adorazione cosmica, del Creato e di ogni creatura, che riconosca la signoria del Cristo come accoglimento del valore obiettivo di Dio stesso. Il verbo conclusivo utilizzato esprime lode e confessione di fede, proclamazione pubblica e testimonianza.

Per un ebreo come Paolo e come una parte dei membri della comunità filippese la parola Signore esprimeva il tetragramma sacro (= JHWH), che era certamente più importante del termine Dio. La gloria del Padre – la sua santità e i suoi notori benefici – sono la conclusione del testo. La signoria di Cristo, espressione della sua sovranità e compimento del suo itinerario di vita, è al servizio della gloria di Dio.

Paolo in questo inno poetico presenta Gesù Cristo come il modello insuperabile di umiltà e amore fraterno[8]. Non solo. Infatti alla sua presenza viene delineata una liturgia di fede e di lode che sale verso Gesù, Signore, e verso il padre, nello Spirito di potenza e di sapienza. 

In definitiva, quindi, il fatto che Cristo serva agli esseri umani come paradigma per la vita cristiana rafforza un aspetto significativo del vangelo paolino: non c’è vita genuina in Cristo che nello stesso tempo non sia trasformata dal potere dello Spirito Santo nell’immagine di Cristo, cioè che non accetti di aprirsi, giorno dopo giorno, al suo amore verso gli altri.

Per introdursi in modo più approfondito alla lettera paolina ai Filippesi e in particolare a quella del testo appena brevemente commentato, si visiti il canale youtube «Associazione Biblica della Svizzera Italiana» (cfr. il corso «Lettere paoline»: qui [a partire da 38’16’’]; e qui [dall’inizio a 20’56’’]).


[1] Se si desidera, si vada pure, a questo scopo, alla rubrica «Dalla Parola di Dio alla vita di tutti» www.catt.ch (25 dicembre 2020)

[2] Nato a Milano nel 1964, è sposato con Maria Teresa e padre di Davide e Michelangelo. Laureato in lettere classiche, licenziato in scienze religiose, dottore in teologia, baccelliere in scienze bibliche, è biblista professionista dal 1992. Insegna introduzione alla Sacra Scrittura presso l’ISSR «Romano Guardini» di Trento e esegesi e teologia bibliche alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale (sez. San Tommaso). Dal 2003 presiede l’Associazione Biblica della Svizzera Italiana (www.absi.ch) e coordina la formazione biblica nella Diocesi di Lugano. Dal 2019 è coordinatore dell’area Europa del Sud e dell’Ovest della Federazione Biblica Cattolica (https://c-b-f.org). Tra i suoi libri più recenti: (a cura di), MARCO. Nuova traduzione ecumenica commentata, ETS, Milano 2017; Di’ soltanto una Parola. Per leggere la Bibbia nella cultura di oggi, con E.L. Bartolini De Angeli – S. De Vito – R. Petraglio, Effatà, Cantalupa (TO) 20182; (a cura di), LUCA. Nuova traduzione ecumenica commentata, ETS, Milano 2018; (a cura di), MATTEO. Nuova traduzione ecumenica commentata, ETS, Milano 2019; (con G. De Vecchi, a cura di), Alle radici della comunità cristiana. Liturgia, catechesi, carità per vivere insieme, San Lorenzo, Reggio Emilia 2020. 

[3] S. Fausti, Verità del Vangelo, libertà di figli. Commentario spirituale alla lettera ai Galati, Casale Monferrato (AL), Piemme, 1999, p. 202.

[4] Proprio in ragione del v. 6 si registra che «un intero nuovo mondo di relazioni familiari, di libertà, di obbedienza gioiosa, di culto vivente è sorto» (C. Cousar, Galati, tr. it., Claudiana, Torino 2003, p. 124).

[5] Hyiòs (= figlio) ricorre in Galati più che nelle altre lettere paoline (13x: 1,16; 2,20; 3,7.26; 4,4.6[2].7[2].22.30[3]) e in nove occasioni si tratta di un’utilizzazione teologica. Sette tra queste ultime sono concentrate tra 3,1 e 4,7 e, in particolare in 4,1-7. E la specificità ragguardevole della sezione Gal 3-4 in merito è proprio l’intreccio della dimensione di figliolanza (3,6-7; 4,4b-5; 4,6; 4,7) e di quella della benevolenza pratica di Dio, ossia dei suoi doni nei confronti degli esseri umani come la benedizione e lo Spirito (3,8-9; 3,13-14a; 3,14b; 4,6). Queste due linee convergono in 4,7, ove si riscontra la conclusione culminante di entrambe: lo dimostrano la congiunzione conclusiva ôste che inizia 4,7 e la connessione con il grido «Abbà, Padre!» suscitato dallo Spirito.

[6] Il v. 6 riporta il vocabolo harpagmòs (= possesso da difendere gelosamente) la cui interpretazione più probabile nel contesto è la seguente: «non volle afferrarsi a questa condizione di uguaglianza a Dio che già possedeva, come ci si può aggrappare avidamente a qualcosa che si ha» (P. Ortiz, Lettera ai Filippesi, in Nuovo Commentario Biblico. Atti degli Apostoli – Lettere – Apocalisse, tr. it., Borla, Roma 2006, p. 431).

[7] Con l’espressione croce la morte è intesa come morte salvifica: nelle lettere di Paolo la croce significa sempre il momento salvifico della morte di Gesù. 

[8] Mi pare di un certo interesse considerare in parallelo i vv. 7.9.11 di Fil 2 e i vv. 4.5.12.13 di Gv 13, soprattutto sotto il profilo dello sviluppo dell’azione.

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/newsi/dalla-parola-di-dio-alla-vita-per-tutti-commenti-ai-testi-biblici-del-tempo-di-natale-ii/