I 100 anni dell'Unione Femminile. La presidente Zaugg: «Uno spazio aperto a tutte le donne»

Era il 24 ottobre 1920. Le donne cattoliche del Ticino, già attive nelle associazioni parrocchiali, decidono di firmare l’atto costitutivo dell’Unione Femminile Cattolica Ticinese: nasceva così il ramo femminile dell’Azione Cattolica. Una data storica segnata da azioni importati: vengono scritti gli Statuti ufficiali, è istituito un Segretariato, 10mila distintivi con il motto In cruce gloriantes sono distribuiti tra le socie. La prima presidente è Maria Viglezio Bianchi di Lugano.

Esattamente cento anni dopo, il 24 ottobre 2020, l’UFCT continua la sua missione. L’associazione si è evoluta nel corso di un secolo che ha rivoluzionato la vita delle persone, e delle donne in particolare. L’erede di Maria Viglezio Bianchi, oggi, è la giornalista Corinne Zaugg, presidente dal 2010. L’anniversario è occasione per guardare al futuro dell’Unione Femminile, riflettendo sulle prossime sfide.

Un compleanno storico per l’Unione Femminile. In tempo di pandemia, come lo festeggerete?
Una ricorrenza speciale va celebrata in modo speciale: dal 24 ottobre comincerà un intero anno di festeggiamenti. Ci teniamo, nel rispetto delle norme sanitarie, a mantenere alcuni eventi in presenza. Una prima giornata significativa sarà martedì 17 novembre: nel giorno di Santa Elisabetta d’Ungheria – a cui l’Unione Femminile è molto legata – presenteremo al Centro San Giuseppe di Lugano il libro della giornalista Laura Quadri su santa Maria Maddalena De’ Pazzi. Una lettura al femminile di una grande mistica: sappiamo come spesso, nella storia, il misticismo delle donne sia stato scambiato per instabilità emotiva, o attribuito a malesseri fisici come le emicranie. Poi ci sposteremo al Sacro Cuore per una messa presieduta dal vescovo Lazzeri. Qui ricorderemo anche monsignor Aurelio Bacciarini, che al Sacro Cuore è sepolto: la nascita dell’UFCT fu favorita anche dal suo supporto.

Quali altri appuntamenti?
Nel corso del 2021 festeggeremo i cento anni della rivista Spighe, il cui primo numero uscì nel 1921. E sarà pubblicato un libro su questo primo secolo di vita dell’Unione Femminile in Ticino, a cura del giornalista Luigi Maffezzoli per la Armando Dadò Editore.

Fare memoria del passato, per guardare al futuro.
L’anniversario è occasione per chiedersi come l’UFCT potrà affrontare i prossimi cento anni. Oggi circa 150 donne sono coinvolte, in maniera più o meno attiva,  nelle nostre attività in Ticino, e l’associazione desidera continuare ad offrire un contributo alla Chiesa locale. Rimaniamo legate all’Azione Cattolica, ma con un cammino specifico come, del resto, lo prevede il nostro Statuto.

Qual è la specificità di un’Unione Femminile nel tempo presente?
All’inizio del mio mandato, dieci anni fa, ci siamo fatte proprio questa domanda. E ci siamo dette che l’UFCT doveva diventare uno spazio di riflessione sul contributo femminile all’interno della Chiesa. Nei cammini pastorali, anche in quelli dell’Azione Cattolica, la donna era intesa principalmente come madre o consacrata. Il nostro cammino vuole includere tutte le donne: è un percorso coerente anche con l’evoluzione storica del dibattito all’interno della Chiesa, che sempre più spesso si interroga su questa tematica.

Proprio pochi giorni fa, nell’Angelus di domenica 11 ottobre, Papa Francesco ha pregato perché le donne «partecipino maggiormente nelle istituzioni di responsabilità della Chiesa».
Siamo naturalmente d’accordo con questo auspicio del Pontefice. Per i laici, sia uomini che donne, il percorso per arrivare a posizioni di responsabilità è lungo e non può essere improvvisato. Non basta nominare un laico o una laica in posizione chiave: occorre prima fare un grande lavoro di coinvolgimento. Oggi riscontriamo una fatica proprio in questo senso: in diverse realtà, a tutti i livelli, mancano gli spazi per parlare insieme tra uomini e donne, tra consacrati e laici, per discutere e avviare insieme dei progetti per la nostra Chiesa. Vorremmo sentire le parrocchie come delle «case», ma a casa le responsabilità sono condivise: in molte parrocchie, purtroppo, prevale ancora la dinamica per cui c’è qualcuno che organizza e qualcun altro o qualcun’altra che sono incaricati di eseguire.

Quali sono i luoghi in cui preparare questo cambio di mentalità?
Sicuramente i seminari, dove forse la questione non trova oggi abbastanza spazio. Ascoltavo una teologa italiana, Paola Lazzarini, in una trasmissione tv. Si parlava dell’eventualità di ordinare le donne come sacerdoti, e un ospite diceva: «Non mi confesserei mai con una donna, sarei a disagio». Nessuno purtroppo ha potuto replicare che per le donne questa situazione è la regola… È solo un esempio, che nulla ha a che fare con il dibattito sull’ordinazione femminile. Cito questo dialogo perché credo che possa aiutare a riflettere su quante cose, nel mondo ecclesiale, vengono automaticamente declinate soltanto al maschile. La sfida è riconoscere e promuovere il contributo specifico di uomo e donna, nella loro imprescindibile diversità e anche nella differenza di carismi e vocazioni.

Ha citato una teologa: solo da dopo il Concilio, le donne hanno potuto intraprendere gli studi teologici.
E da allora si è aperta una pagina nuova. Il contributo delle teologhe ha permesso di riscoprire figure dimenticate e di rileggere con occhi nuovi molte vicende bibliche. Penso alle tre parabole della misericordia: quelle del figliol prodigo e della pecorella smarrita sono molto più conosciute, perché raccontano esperienze di uomini. La dracma smarrita invece è meno nota, eppure l’atteggiamento di cura messo in atto dalla donna – che mette a soqquadro la casa pur di trovare una moneta – esprime una dimensione tipica del femminile, che Gesù utilizza per esprimere l’attenzione del Padre verso ogni persona.

Viviamo una fase storica segnata dalla pandemia: quale il contributo particolare delle donne per la Chiesa di questo tempo?
Credo che abbia a che fare proprio con la riscoperta della dimensione di cura tipica del femminile. Molto importante in questo senso è il linguaggio utilizzato da Papa Francesco. Fin dalla Laudato si’ ci ha abituato a parlare di «cura della casa comune». Un’espressione che ha ripreso nella recente enciclica Fratelli Tutti per tracciare le fondamenta di una ripartenza su basi nuove. Se si fosse espresso in termini maschili, avrebbe potuto parlare per esempio di «organizzazione della società». Invece ha scelto un linguaggio più inclusivo, che delinea la prospettiva migliore con cui uomini e donne possono affrontare questo tempo. La pandemia mette in luce proprio l’importanza della cura reciproca che lega ogni essere umano al suo prossimo. L’Unione Femminile offre momenti di riflessione per dare innanzitutto alle donne una maggiore consapevolezza: la conseguenza, poi, è di non fermarsi alla teoria ma integrare concretamente la visione femminile nel nostro modo di fare cultura. La differenza uomo-donna è un valore aggiunto, non la certificazione della fragilità degli uni o delle altre.

Quali progetti per il cammino futuro dell’UF?
Un obiettivo concreto, ora, è di estendere i legami dell’associazione. Da quest’anno siamo entrate a far parte della FaftPlus, la Federazione delle Associazioni Femminili in Ticino, un raggruppamento di una ventina di associazioni femminili ticinesi di diversa estrazione. Aderiamo anche alla Rete Laudato Si’ per l’ecologia integrale, e poi stiamo intensificando i contatti con altre realtà di donne cattoliche a nord e a sud delle Alpi. In Italia guardiamo in particolare al Coordinamento delle Teologhe con sede a Roma: già in passato abbiamo ospitato alcune donne di questo gruppo per incontri formativi. Nella Svizzera tedesca c’è il Frauenbund, che proprio di recente ha incontrato i vescovi svizzeri per un momento di dialogo e confronto: su alcune posizioni la nostra UFCT non è in piena sintonia con il Frauenbund, tuttavia il desiderio è di stringere i contatti e condividere esperienze che possano aiutarci a crescere.

Chiesa cattolica svizzera

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