Quest’anno al santuario di Lourdes si va... col cuore

A quest’ora sarebbe stato già tutto più o meno sistemato: le divise stirate, le valige pronte e… i cuori in festa, per mettersi in viaggio – su bus e aerei – alla volta di Lourdes, per il tradizionale pellegrinaggio con la diocesi di Lugano. E invece, come preannunciato l’8 maggio scorso in un comunicato, il vescovo, il consiglio episcopale, il direttore dell’Opera pellegrinaggi e il comitato dell’ospitalità, hanno ritenuto che quest’anno non c’erano le condizioni per poter organizzare l’annuale pellegrinaggio. Non poteva che essere così. Ma per la grande famiglia di Lourdes, si è trattato di una rinuncia difficile. Per i malati per primi, naturalmente. Ma anche per chi da anni mette a disposizione questa settimana d’agosto per mettersi al servizio: come brancardier, infermiera, accompagnatore o foulard bianco o giallo. Ma anche per chi a Lourdes ci va da pellegrino: assecondando la sua personale motivazione. Per circa 400 persone (si situano intorno a questo numero le partecipazioni al pellegrinaggio estivo) questo agosto si iscriverà nella memoria, come l’anno in cui «non andai a Lourdes». Per molti il primo di una ininterrotta fedeltà.

Ma se, come si legge sul sito del santuario «tutto il mondo ha bisogno di Lourdes, Lourdes ha bisogno del mondo intero per affrontare la difficile situazione economica, venuta a crearsi a causa del coronavirus». Per la prima volta in 162 anni, il santuario ha dovuto chiudere i suoi cancelli. Oggi, anche se sono stati riaperti lo scorso 30 maggio, il santuario accoglie solo un numero limitato di pellegrini, secondo un rigoroso protocollo sanitario e questa assenza si riflette in maniera pesantissima non solo sull’assetto finanziario della struttura, ma anche su tutta l’economia che gravita intorno al santuario. Ma come è stata accolta questa decisione dai malati della nostra diocesi? Lo abbiamo chiesto a Miriam Vanolli, consigliera comunale e segretaria del PLR a Bellinzona, fino a quando un’emorragia celebrale non ha messo fine, a neppure 60 anni, a tutto quanto era la sua vita fino a quel giorno. Nulla di quel giorno si è cancellato dalla sua memoria. Il caffè bevuto al bar col marito, la corsa in ospedale, il viaggio «oltre»: il lungo tunnel rosa con alla fine una porta che si apre. La mamma che le sorride e il papa che le ingiunge di ritornare indietro: «Non è ancora il momento», le dice. E lei ritorna… alla vita. «Oggi vivo aspettando Lourdes» ci racconta Miriam. «Quando rientro alla fine del pellegrinaggio, non vedo l’ora di poter di nuovo tornare, l’anno dopo. E sì, che fino a prima della mia malattia, non ero religiosa più di tanto». Da quel giorno, che doveva coincidere con un evento lieto: la conclusione positiva degli studi del figlio, Miriam a Lourdes è tornata ogni anno. «Per chiedere di guarire?», le chiedo.

«No. Mai ho chiesto questo. La mia preghiera alla Madonna non è mai stata per me. Ma sempre per la pace in famiglia. E sono stata ascoltata».

Che cosa le mancherà di più, le chiedo. L’elenco è lungo. Dice: «Mi mancherà la compagnia. E poi l’accoglienza che ci riservano brancardier, infermiere, volontari e volontarie: veniamo «serviti e riveriti», accuditi, intrattenuti…da quando si sale sul bus fino a quando non ne scendiamo, al rientro. Ma forse, più di tutto mi mancherà il momento alle «piscine». Per me è la cosa più bella. Quando emergi da quell’acqua ti senti 10 anni in meno: sia nel corpo che psicologicamente». «Magico» è l’aggettivo che più di tutti ricorre nel racconto che Miriam mi fa al telefono. «Magica è Lourdes, magica è l’acqua, magica è l’atmosfera». Non è certo alla magia del prestigiatore che si riferisce Miriam, ma all’incanto che si crea quando la fede cessa di essere parola e s’incarna nei gesti concreti, impastandosi con la vita.

La sfida, ora, per tutti coloro che questa settimana l’hanno iscritta non solo nelle loro agende, ma dentro il cuore, sarà relativa a come «abitare l’attesa» come ebbe a scrivere don Massimo Braguglia, direttore dell’Opera diocesana pellegrinaggi, in una lettera indirizzata ai pellegrini. Miriam ha già iniziato. Radio e televisione la tengono collegata quotidianamente al santuario. «Di giorno, ma soprattutto di notte», precisa, quando l’insonnia inizia a tormentarla. E poi ci sono le relazioni. Quelle relazioni personali che si intessano a Lourdes ma che rimangono vive anche dopo, arrivando a costituire una fitte rete di interazioni. «Oggi le volontarie sono le mie migliori amiche» conclude e aggiunge: «Sarà comuque un agosto lungo e una settimana difficile».

Corinne Zaugg

Chiesa cattolica svizzera

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