A 25 anni dalla Ut unum sint di Giovanni Paolo II

di Gino Driussi

Si è recentemente commemorato il 25.o anniversario dell’enciclica di san Giovanni Paolo II «Ut unum sint», pubblicata il 25 maggio 1995. Insieme con il decreto del Concilio Vaticano II «Unitatis Redintegratio» (promulgato il 21 novembre 1964 da  san Paolo VI), la «Ut unum sint» costituisce una pietra miliare nel dialogo ecumenico della Chiesa cattolica.

Uno dei punti centrali di questo documento lo si trova ai capoversi 95 e 96, dove papa Woytila, dopo aver affermato la sua convinzione di avere una responsabilità particolare per ciò che riguarda l’unità di tutte le comunità cristiane, evoca la domanda che gli veniva rivolta «di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova». E prosegue: «La comunione reale, sebbene imperfetta, che esiste tra tutti noi, non potrebbe indurre i responsabili ecclesiali e i loro teologi ad instaurare con me e su questo argomento un dialogo fraterno, paziente, nel quale potremmo ascoltarci al di là di sterili polemiche, avendo a mente soltanto la volontà di Cristo per la sua Chiesa, lasciandoci trafiggere dal suo grido «siano anch’essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21)?». E la disponibilità a dialogare sul ruolo del papato nell’ «ecumene» cristiana è stata ripresa ribadita diverse volte anche da papa Francesco.

Un tema delicato, tanto che che già Paolo VI, rivolgendosi ai membri del Segretariato per l’unione dei Cristiani il 28 aprile 1967, aveva detto apertamente: «Il Papa, noi lo sappiamo bene, è senza dubbio l’ostacolo più grande sul cammino dell’ecumenismo».

Scarsa accoglienza

Ma come è stato accolto nel 1995 l’invito di Giovanni Paolo II alle Chiese non cattoliche a discutere sull’esercizio del primato? Sinteticamente, si può dire che le reazioni sono state poche e hanno manifestato  riserve, dubbi e perplessità su alcune affermazioni contenute nel documento.

Una delle prime reazioni fu quella del Consiglio ecumenico delle Chiese, che in un comunicato dell’8 giugno 1995 definiva «significativa» la disponibilità del Papa a «riconsiderare il ruolo del ministero petrino». Da parte sua, nell’agosto 1995 il Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste italiane affermava che «conformemente alla propria natura e alla tradizione, la futura comunione delle Chiese cristiane non potrà che avere in un’assemblea rappresentativa di tutte le Chiese (Concilio ecumenico) la propria suprema istanza terrena» e che «il problema del papato non può essere isolato da quello della struttura gerarchico-sacramentale della Chiesa cattolica romana». Il Sinodo aggiungeva di considerare «il papato una istituzione propria della Chiesa cattolica romana, non una struttura potenzialmente ecumenica appartenente in prospettiva a tutta la cristianità».

Interesse per le aperture di Giovanni Paolo II venne manifestato, con sfumature diverse, nelle risposte ufficiali   della Camera dei vescovi della Chiesa d’Inghilterra, della Chiesa luterana di Svezia e della Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti. Ciò che appare chiaro è che le varie risposte, pur riproponendo in modo più o meno accentuato le secolari questioni relative allo sviluppo storico del papato, collocano il tema del ministero petrino nell’ambito più ampio dell’ecclesiologia di comunione e della missione della Chiesa nel mondo.

Ortodossi e papato

Da parte ortodossa, reazioni ufficiali alla «Ut unum sint» a nostra conoscenza non ve ne sono state, ma la questione del papato, al quale gli ortodossi sono molto «allergici», è stata tra i temi affrontati dalla commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme (che quest’anno compie 40 anni). Nel documento di Chieti del 2016, le due parti riconoscono che nel primo millennio cristiano il vescovo di Roma ha esercitato un ministero di unità sul livello della Chiesa universale, che non comportava però una giurisdizione diretta sulle Chiese d’ Oriente. Ma il problema è lungi dall’essere risolto.

E ora, a 25 anni dalla «Ut unum sint» a che punto siamo? Potremmo dire in una situazione di stallo, sebbene papa Francesco abbia più volte dimostrato di essere sensibile alla questione, dapprima presentandosi come «vescovo di Roma» alla sua prima apparizione dopo la sua elezione, poi, durante il suo pontificato, mettendo in varie occasioni in risalto il suo desiderio di una Chiesa sinodale. E’ indubbio però che nel dialogo ecumenico sul papato pesano come macigni i dogmi sull’infallibilità e la giurisdizione universale del Papa proclamati da Pio IX nel 1870 (esattamente 150 anni fa) in seguito al Concilio Vaticano I.

Chiesa cattolica svizzera

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