Don Sandro ha davvero vissuto come chi crede che la vita sia eterna

Le strade percorse da Mons. Grampa e don Sandro Vitalini hanno seguito due percorsi paralleli: simili ma anche diversi. Nati ad un anno di distanza l’uno dall’altro, entrambi hanno festeggiato nel 2019, i 60 anni di messa, entrambi hanno trascorso la vita al servizio della diocesi di Lugano, entrambi si sono dedicati per 40 anni all’istruzione e all’educazione dei ragazzi: mons. Grampa, al collegio Papio di Ascona con i ragazzi «laici», don Sandro, come docente di teologia ed educatore, in mezzo ai giovani indirizzati al sacerdozio, in seminario. Le rette parallele delle loro vite, due volte si sono però intersecate: una, all’inizio della loro missione, l’altra sul finire. Entrambi, infatti – racconta don Mino – si ritrovarono al Collegio Pio XII, di Lucino, a Breganzona. Don Sandro nelle vesti di padre spirituale dei ragazzi, mentre lui, don Mino, insegnava materie umanistiche. E subito fu amicizia e condivisone. Animati dallo stesso entusiasmo per le novità, le potenzialità e i sogni che il Concilio Vaticano II aveva acceso in entrambi, portarono in ogni angolo della diocesi, questa ventata di novità, organizzando incontri e serate pubbliche, come testimoniano le cronache del Giornale del Popolo degli anni ’60. Poi don Sandro partì alla volta di Friborgo e don Mino, per Ascona.

Restiamo un attimo sul tema di Don Vitalini e il Concilio, don Mino: fu un dolore per Don Sandro vedere la lentezza e gli ostacoli che incontrò la sua applicazione lungo l’arco degli anni… «Non solo per lui! Lo fu per gran parte dei preti che oggi hanno ottant’anni e che allora ne avevano tra i venti e i trenta e che avevano creduto a questa linea nuova che Giovanni XXIII aveva dato alla Chiesa e si erano «buttati», anche dopo, a vivere il sinodo svizzero diocesano. Sì, don Sandro ha sofferto molto per questo. Di recente ho scritto un libretto sul concilio dove dico che quest’ultimo fu una grande luce per non perdere la bussola dell’oggi ma anche del domani, della Chiesa. E di questo era convinto anche don Sandro» Il secondo momento in cui le loro strade si incrociarono di nuovo fu quando, mons. Grampa, divenuto vescovo, lo volle come suo collaboratore, in qualità di pro vicario generale, per le sue qualità teologiche e le sue doti di profonda umanità. I ricordi di questa vita vissuta in parallelo sono tanti e riaffiorano via via, lasciando in don Mino anche la tristezza per una morte sopraggiunta in questo tempo di Covid-19 e che priva don Sandro della possibiltà di convidere l’ultimo saluto con quanti gli vollero bene. «Lui la vita eterna la «credeva»: uno dei suoi libri si intitola proprio così. «Credo la vita eterna»», dice don Mino, aggiungendo che «Don Sandro aveva scelto la cremazione prima ancora che venisse imposta per necessità sanitarie. Ne aveva fatto una scelta sua, quasi a significare simbolicamente che con la morte ritorna in polvere l’uomo che dalla polvere è stato tratto. Certo, tuttavia, che la vita nell’immortalità in Dio, inizia immediatamente dopo, nell’ interezza della persona: corpo e anima. Di questa era assolutamente sicuro, come era certo che la misericordia di Dio c’é per tutti ed è per tutti».

Corinne Zaugg

Chiesa cattolica svizzera

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