Coronavirus: responsabilità

Navigo nei social, mi imbatto con il gruppo che fa foto dal mare, tutti insieme, appassionatamente: gente di mezza età, giovani, anche qualche anziano. Sì, perché una società che corre, che per forza deve fare qualcosa, che non è capace di stare e peggio ancora di «attendere», punto e basta, è una società messa k.o. da quello che sta accadendo in questo ore. Se l’economia è così e dobbiamo cercare di sostenerla perché il nostro sistema interconnesso ha ormai un rapporto fondamentale tra economia e salute, così non è negli incontri, quando viaggio in bus o vado al supermercato: nelle relazioni. Esaminiamole: sono tutte indispensabili in questi giorni? A cosa posso rinunciare per seguire le indicazioni che vengono date di «limitare i contatti»? Oppure come posso e devo vivere la relazione con il mio prossimo, da colui che incontro al supermercato, sul lavoro dove devo andare per forza o in bus?

Una società di presunti forti, sordi all’idea di essere fragili?

Qui si insidia il virus mentale che è un pericolo di questa nostra società: quello dell’onnipotenza umana e del dover per forza sempre riempire il tempo, fare delle cose, anche quando non sono strettamente necessarie. Oggi mi sono imbattuta in un contributo di Bruno Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva. Pellai chiede alle nuove generazioni italiane (scrive nel contesto italiano che ha preso misure un po’ diverse dalle nostre, ma il succo è lo stesso), fronte il Coronavirus, un surplus di responsabilità in confronto ai loro nonni e genitori. E va bene, per i giovani ci sta. Ma noi adulti? A me pare che la nostra vulnerabilità ben nascosta ci faccia credere di essere onnipotenti. Siamo abituati dalla nostra cultura da Supereroi della Marvel a considerare bene il forte, male il debole. È il trend triste che si è instaurato nella società dello scarto. Quindi, ognuno di noi deve nascondere o rifiutare la propria fragilità. Va bene, dico io, nascondiamo le nostre personali fragilità, facciamo tutti come se niente fosse, mettiamo da parte le parole che ci vengono raccomandate: «rinuncia» o «attenzione» o «prudenza». Ma anche una persona che si crede onnipotente non dovrebbe avere un minimo di senso civico e di responsabilità nei confronti almeno degli altri? Dalle immagini che vedo, dalle foto che girano in queste ore, mi pare di no. Vado a fare la spesa e il metro di distanza è fantasia perché nessuno lo rispetta. La mia libertà finisce dove inizia la libertà a vivere e vivere in salute dell’altro… vien da dire. Ok, se riuscissimo tutti, in queste ore dove vengono date indicazioni precise, in Ticino e fuori confine, a rispettare questo principio di responsabilità civile, vecchio di oltre 2000 anni, anche coloro che si sentono onnipotenti (libero ognuno di credere in ciò che vuole), almeno darebbero prova di rispetto civico per il prossimo.

Chi è il mio prossimo?

Già, il famoso «prossimo». Chissà se esiste ancora o non è solo un’entità che mi gira attorno, ma non un vero «prossimo» da rispettare, fatto della mia stessa carne, specchio di un altro me?. Perché l’individualismo e l’onnipotenza umana, il credersi superiori a tutto, forse rischia di far ritenere il «prossimo» un vero prossimo solo in quelle occasioni in cui ci aiuta a rispondere al nostro bisogno di comunità: la cena con gli amici, la festa, la gita. Ma la comunità va non solo chiamata in causa quando serve a riempire il nostro eventuale vuoto esistenziale, la comunità, fatta da tante persone, giovani, adulti, malati, immunodepressi, anziani, fragili e altro ancora, è l’altro, il mio prossimo, che invoca rispetto, soprattutto in questi giorni. Quindi: non è vero che possiamo fare quello che vogliamo: possiamo fare quello che è bene fare per proteggere il nostro prossimo, se non vogliamo proteggere noi stessi, perché ormai siamo onnipotenti. Se non riusciamo a pensare al prossimo come prossimo, perché ci pare un concetto astratto, sforziamoci di vedere in lui nostro nonno, nostra zia, nostra mamma, nostra sorella, la migliore amica malata. Insomma, se non ce ne frega niente del virus, perché tanto ci crediamo inossidabili, pensiamo che chi ci gira attorno «onnipotente» non è. Ce la faremo? Speriamo? no…., dobbiamo!

Chiesa cattolica svizzera

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