Commenti ai Vangeli domenicali

calendario romano / Lc 14,1.7-14

A scuola di umiltà da Gesù (di don Massimo Gaia)

Racconta un aneddoto, che il cardinale Martini, in visita a una parrocchia della sua diocesi, si sia trovato confrontato, durante la celebrazione eucaristica, con un parroco estremamente entusiasta. Durante la monizione iniziale, quale saluto all’arcivescovo, il sacerdote disse: «In questo momento lo Spirito Santo mi ispira che…». Intervenne, interrompendolo, la voce del cardinale, che disse: «Un momento, un momento, che lo Spirito Santo non si scomoda così facilmente… ». Lezione di umiltà, per questo prete: perché umiltà significa «stare al proprio posto, né di più, né di meno ». E Gesù può darci, nel suo Vangelo, questa lezione, perché egli è stato uno che in tutta la sua esistenza terrena è sempre stato al proprio posto, passando per l’Incarnazione, la Passione e Morte, la Risurrezione e Ascensione al cielo. Di certo la parola «umiltà» non è particolarmente di moda ai giorni d’oggi, non da ultimo perché di essa si ha una falsa comprensione, quella di annichilimento o annientamento totale. La parola «umiltà» deriva dal latino «humus», cioè «terra/fango»; essere umili significa allora riconoscere che siamo «fatti di terra», siamo ben poca cosa. Ciò che ci contraddistingue sono i doni di Dio, il soffio vitale («il Signore Dio plasmò l’uomo con  polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente», Gen 2,7),  l’anima e lo Spirito Santo. Essere umili significa, innanzitutto, conoscere e riconoscere ciò che siamo, ossia creature limitate nel tempo e nello spazio; creature con pregi e difetti; creature né più né meno che «fango spiritualizzato», «immagine di Dio», «tempio dello Spirito Santo». Quando Gesù ci invita a «metterci all’ultimo posto», allora, ci mette in guardia contro una tendenza che tutti noi abbiamo, e cioè quella di esaltarci (ossia ritenerci di più) oppure di abbassarci (ritenerci di meno), insomma quella tendenza a metterci di fronte a noi stessi, agli altri e a Dio per quello che non siamo e non abbiamo. Questo mostrare e rendere agli altri un’immagine non vera di noi stessi è ciò che ci impedisce di essere gratuiti nella relazione con noi stessi, gli altri e Dio: in questo senso siamo più interessati a ciò che interessa noi che non a ciò che può essere il vero bene comune. Quando Gesù ci invita ad attendere che siano gli altri a riconoscere le nostre qualità, egli ci dice che non si tratta tanto di far girare tutto attorno a noi stessi, quasi fossimo il centro del mondo; ma di ritenere l’altro e il regno di Dio al centro del nostro interesse. Domandiamo, allora, allo Spirito Santo tanta Luce per conoscere e riconoscere ciò che siamo; tanta Forza per porci di fronte agli altri e all’Altro con gratuità; tanto Amore per dare agli altri e ricevere dagli altri tutto ciò che serve alla vicendevole edificazione.

calendario ambrosiano / Mt 4,12-17

Il primo annuncio risuona ancora oggi (di don Giuseppe Grampa)

L’evangelo di questa domenica ci riporta le prime parole pronunciate da Gesù quando, dopo i lunghi anni di vita a Nazareth, nascosto nell’ordinarietà della vita quotidiana, lascia il villaggio per andare a vivere a Cafarnao, sulle rive del lago e percorrere quelle terre annunciando l’Evangelo. L’evangelista Marco ci ha restituito con singolare freschezza il primo annuncio e l’entusiasmo della gente che ascoltava una parola davvero autorevole (Mc 1,27-28). Marco e Matteo riportano in maniera quasi identica le parole di quel primo annuncio: «Il Regno dei cieli è vicino, convertitevi « così Matteo (3,17). E Marco: «Il tempo è compiuto, il Regno di Dio si è fatto vicino, convertitevi e credete al Vangelo » (1,15). Poche parole, nelle quali è detto tutto l’essenziale: l’iniziativa di Dio, cioè il suo Regno che viene, si fa vicino e la nostra risposta: cambiare mentalità, orientare la nostra vita all’evangelo affidandosi. Matteo ha appena ricordato la predicazione di Giovanni Battista, anzi sottolinea come Gesù inizi il suo annuncio solo dopo la morte violenta di Colui che gli aveva preparato la strada. Eppure grande è la discontinuità tra le parole del Battista e quelle di Gesù. Diceva il primo alla folla: «Razza di vipere chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira che sta per venire…» (Mt 3,7b). Dice il secondo, cioè Gesù: «Il Regno dei cieli è vicino, convertitevi». Non mancheranno anche sulle labbra di Gesù parole dure nei confronti dei suoi contemporanei ma è davvero importante  che la prima parola non sia nel segno dello scontro e della durezza ma piuttosto dell’annuncio positivo e liberante. Questo, solo questo è l’Evangelo, appunto la buona, bella notizia. Sono passati due millenni eppure quando, come in questi ultimi anni, questa bella notizia viene ancora una volta ripresa con gesti di grande semplicità e parole di intensa umanità, avviene il miracolo di un ascolto che illumina gli occhi e riscalda il cuore. Non ho mai inteso in questi anni una parola di indifferenza nei confronti di papa Francesco: la sua grande, inattesa semplicità continua a suscitare un’ondata di lieto stupore in tutti. Segno che il nostro cuore altro non attende se non una parola e una presenza che restituiscano speranza ai nostri giorni. E la Chiesa altro non deve dire se non questo. Gesù aggiunge: «Convertitevi». Convertirsi è gesto positivo, è rivolgersi al buon annuncio che ci viene proposto per farlo nostro, è mutamento di pensiero, di mentalità per orientarsi verso Colui che si fa vicino a noi. La gente che abitava le terre attorno al lago e che per primi ascoltarono l’Evangelo, il lieto annuncio, accorreva con entusiasmo travolgente, come vorrei che anche oggi questo primo annuncio destasse in noi un fremito di stupore e di gioia.

 

Chiesa cattolica svizzera

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