La povertà non è un dato, è un fatto

Le scoperte che profumano di «geografia» mi attirano sempre. Quella che ho appena letto però mi fa riflettere e magari, lo posso dire? Mi infastidisce un po’. Leggevo negli scorsi giorni un articolo in cui si spiega che degli studiosi danesi sarebbero in grado di tracciare delle «mappe della povertà» nel mondo attraverso alcuni satelliti tramite delle istantanee provenienti dallo spazio. L’esperimento è stato condotto in Kenya su di un’area agricola. Da oggi insomma potremmo capire le condizioni economiche in cui vivono gli abitanti delle diverse aree del mondo.

Non è l’esperimento in sé ad infastidirmi, anzi, ma noto che siamo sempre più in grado di studiare, mappare e analizzare la povertà, possiamo commentare statistiche, dati e parlare delle condizioni di vita (a volte disumana) delle persone. Ma siamo capaci anche di entrare in questa povertà? Siamo capaci di mettere le mani in pasta, di incontrarla, guardarla in faccia? Perché la povertà, malgrado sia considerata un «dato», in realtà è un fatto. Un fatto che tocca le persone nella loro quotidianità, nel loro essere e a volte nella loro dignità. E mi tornano in mente le parole di don Renzo Beretta, a qualche giorno dai vent’anni della sua morte. Era Parroco di Ponte Chiasso, accoglieva decine e decine di profughi dai Balcani nella sua parrocchia e una volta aveva detto: «Quanto hai fatto a uno di questi, l’hai fatto a me. Io, prete, qui, devo essere, almeno, la Sua Ombra… Non posso barare.» Così penso, io non sono prete, forse nemmeno tu che leggi, ma me la sento di barare?

Chiesa cattolica svizzera

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