Le ragioni del rinvio del voto sulle norme anti-abusi negli Usa

Il rinvio, chiesto dalla Santa Sede, del voto sui documenti contenenti le nuove misure anti-abusi della Conferenza episcopale nordamericana ha avuto come primo prevedibile risultato quello di presentare Papa Francesco come insensibile rispetto alla gravità della situazione negli Stati Uniti, e il Vaticano come un elemento «frenanteˮ rispetto alla ferma volontà dei pastori statunitensi di combattere al meglio lo scandaloso fenomeno.

«Su insistenza della Santa Sede – ha annunciato il cardinale Daniel DiNardo, presidente della Conferenza episcopale – noi non voteremo i due documenti che riguardano gli standard di responsabilità per i vescovi e la commissione speciale deputata a ricevere le denunce contro i vescovi». DiNardo si è detto deluso per la decisione, annunciata lunedì 12 novembre appresa soltanto il pomeriggio precedente.

Lo stop vaticano è stato comunicato al vertice della Conferenza episcopale con una lettera che il cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i vescovi, ha inviato domenica al cardinale DiNardo attraverso il nunzio apostolico Christoph Pierre.

Da quanto apprende Vatican Insider, i documenti inviati a Roma dai vertici dell’episcopato Usa sono tre. E sarebbero arrivati soltanto da qualche giorno. La mancanza di un tempo adeguato di studio e discussione, insieme ad alcune perplessità su due dei tre testi, sono all’origine della richiesta vaticana. 

«È sbagliato pensare che la Santa Sede non condivida l’obiettivo dei vescovi statunitensi, quello di avere strumenti efficaci per combattere il fenomeno degli abusi sui minori e stabilire dei punti fermi per quanto riguarda la responsabilità degli stessi vescovi – spiega una fonte vaticana coinvolta nella vicenda – Il motivo della richiesta di rinvio non va considerato una frenata, ma l’invito a valutare meglio i testi proposti, anche in vista dell’incontro di febbraio tra tutti i presidenti delle Conferenze episcopali del mondo con il Papa dedicato alla lotta agli abusi. Bisogna raggiungere nel migliore dei modi l’obbiettivo finale».

Per quanto riguarda gli standard di comportamento e azioni richiesti ai vescovi, che superano sia i codici civili che quello canonico, un’obiezione che è stata sollevata riguarda la genericità di alcuni passaggi: potrebbe accadere cioè che un vescovo non sia in grado di sapere se sta violando o meno questi obbiettivi di comportamento che potrebbero in futuro portarlo davanti alla commissione nazionale chiamata a giudicarne l’operato.

Un altro problema riguarda alcune incoerenze riscontrate tra i contenuti del documento riguardante la commissione nazionale sulla responsabilità dei vescovi e il Codice di Diritto canonico. Nella bozza presentata in Vaticano la commissione viene pensata come istituzione no-profit, senza una figura giuridica e canonica, ma in grado di esercitare un potere giudicante sugli stessi vescovi.

Insomma, le norme vigenti possono essere ulteriormente implementate ma i testi preparati dal comitato esecutivo della Conferenza episcopale statunitense vanno migliorati, tenendo conto del Diritto canonico e della stessa realtà della Chiesa. È comprensibile la reazione delusa e arrabbiata di DiNardo, ma non è escluso che anche qualcuno dei vescovi chiamati al voto poi sospeso accolga come un’opportunità positiva un tempo maggiore di riflessione e studio, nonostante la pressione dell’opinione pubblica.

Non devono sfuggire alcuni passaggi cruciali del discorso pronunciato dal nunzio apostolico Pierre durante la sessione inaugurale dell’incontro dei vescovi Usa . Il rappresentante del Papa ha citato lo scrittore francese Georges Bernanos: «Chi pretende di riformare la Chiesa con gli stessi mezzi usati per riformare le società temporali non solo fallirà ma si porrà infallibilmente fuori dalla Chiesa». Perché «non si riforma la Chiesa se non soffrendo per essa, non si riforma la Chiesa visibile se non soffrendo per la Chiesa invisibile. Non si riformano i vizi della Chiesa se non prodigando l’esempio delle sue virtù più eroiche».

Il nunzio ha significativamente sottolineato che non bisogna rinunciare alla responsabilità di riformare prima di tutto se stessi, né si può «trasferire il deposito di fiducia ad altre istituzioni. Riguadagnare la fiducia non è abbastanza. Quando si tratta della responsabilità che abbiamo nei confronti dei bambini e degli adulti vulnerabili, dobbiamo mostrare che possiamo risolvere i problemi, invece che delegarli ad altri».

Qualcosa che non esclude il contributo di tutti i fedeli, dei laici, dei religiosi, che «ci aiutano a portare avanti la missione». Ma senza venir meno alla responsabilità specifica dei pastori. Parole che indicano una via di riforma legata alla fede, alla riscoperta di ciò che è essenziale, senza demandare tutto alle best practices pensando che nuove norme e codici di comportamento sempre più severi – promulgati sotto pressione mediatica – siano in grado per se stessi di estirpare crimini, peccati e coperture.

(Vatican Insider)

 

Chiesa cattolica svizzera

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