Matrimonio, sessualità, fecondità: bellezza, verità, bontà.

Lunedì 19 gennaio al Centro culturale Alzavola di Lugano ha avuto luogo la prima conferenza del ciclo dedicato a matrimonio e famiglia dal titolo «Matrimonio, sessualità, fecondità: bellezza, verità, bontà», tenuta del teologo nonché professore André Marie Jerumanis. Tema principale dell’esposizione il Sinodo sulla famiglia appena conclusosi e gli stimoli risultanti dalla Relatio finale, tra cui un’enucleazione sapiente degli errori nei quali è più facile incorrere quando si voglia rilettere sull’istituto del matrimonio, tanto nel Magistero quanto in ciascun fedele: da una parte la possibilità disarmante di un irrigidimento ostile, tipico di intellettualisti e tradizionalisti, attegiamento che ben si definisce con la metafora del «pane che diventa pietra»; dall’altra un buonismo distruttivo, che tralascia appositamente di ricordare che il matrimonio è segno visibile di una realtà invisibile, depauperandolo così della dimensione divina, e che ben si riassume – così le parole del Pontefice a conclusione del Sinodo – nell’immagine di una pietra che diventa viceversa pane. Di fronte a questi possibili fraintendimenti, rimane valida unicamente quella lettura della realtà che sa far uso dell’etica della bontà e che si inserisce nel solco della cosidetta «pastorale della carità», quello sguardo che è cioè efficace perché differenziato, vale a dire in grado di comprendere che non tutte le situazioni di vita sono uguali; quella visione, dunque, che ci porta connaturalmente verso le famiglie alla periferia della vita ecclesiastica e considera seriamente le circostanze specifiche di ciascun interlocutore al quale ci si rivolge, i condizionamenti – e talora le pressioni – che si subiscono dal contesto sociale, arrivando ad accettare persino l’idea – e la provocazione in essa racchiusa – che gli individui alla periferia non riescano a comprenderci. Davanti a questa possibilità – quella che la Chiesa non venga compresa quando parla – non bisogna spaventarsi, bensì essere coscienti che ciò è ineluttabile conseguenza della cultura postmoderna in cui l’uomo di oggi si trova immerso, cultura che lo porta per sua natura a dubitare di tutto e ad assumere i tratti di un eterno adolescente incapace di scegliere. Questa situazione rappresenta una sfida non indifferente, ma non per questo deve spingere la Chiesa alla ritirata e al ripiegamento su sé stessa.  L’importante – ha sottolineato il teologo – è conservare come punto di riferimento una prospettiva cristocentrica nell’osservare le cose; mentre si guarda alla famiglia, mantenere cioè lo sguardo puntato a Cristo, il quale – proprio interpellato a proposito dell’unione tra uomo e donna dai farisei in Marco 10, 1-12 – rispose a sua volta di guardare sempre al progetto che Dio aveva su di essi, un progetto di unione feconda e perpetua. Tuttavia questa verità va’ comunicata e coniugata con la bontà, perché, come sosteneva a sua volta il teologo H. U. Von Balthasar, non vi può essere comunicazione valida senza che vengano adoperate nel contempo verità, bellezza e bontà; il vero scisso dalla misericordia produce ulteriori inutili lacerazioni, soprattutto nel contesto attuale, in cui le persone ferite si moltiplicano a vista d’occhio. Il relatore della conferenza si è quindi premurato di ricordare a tutti i presenti di partecipare alla compilazione del formulario diffuso dalla Santa Sede in vista del prossimo Sinodo nell’ottobre 2015 (http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20141209_lineamenta-xiv-assembly_it.html#III_Parte_Il_confronto:_prospettive_pastorali_, «Domande per la ricezione e l’approfondimento della Relatio Synodi»). Perché se è vero che l’uomo religioso è un uomo che sente per sua natura l’esigenza di comunicare con gli altri essendo anzitutto in dialogo con l’Altro, vi saranno dei buoni frutti solo se ciascun fedele sarà fedele alla sua intima chiamata alla relazione e al confronto.

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