Il Vaticano presenta un progetto per aiutare gli emigrati dal Venezuela

Senza entrare nel merito della crisi politica a Caracas, la Sala Stampa della Santa Sede ha ospitato questa mattina la presentazione di un progetto di aiuto alle persone che fuggono dal Venezuela con un «flusso massiccio» verso altri Paesi del subcontinente. L’iniziativa è promossa da otto Conferenze episcopali sudamericane con l’assistenza della sezione «Migranti e Rifugiati» del Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo umano integrale. Per il superiore dei gesuiti, padre Arturo Sosa , venezuelano, presente al meeting point con i giornalisti, l’Europa che invecchia dovrebbe avere presente che l’immigrazione giovane è un regalo. 

 

L’emigrazione dal Venezuela, ha sottolineato padre Sosa parlando con un gruppo di giornalisti, «è cominciata piano piano una ventina di anni fa, soprattutto con persone di alta qualifica professionale, che avevano più possibilità di trovare lavoro all’estero, o con discendenti di italiani o spagnoli che potevano ottenere la cittadinanza. Con la gravità della situazione interna del Venezuela (degli ultimi anni, ndr), è cominciato un flusso molto più evidente di persone molto più variate, per questo adesso viene messo a fuoco questa realtà» e, in particolare, i dipartimenti responsabili delle otto Conferenze episcopali, riuniti a settembre 2017 a Santiago del Cile, hanno concordato che in ogni paese c’era una presenza massiccia di venezuelani.  

 

«La novità nel flusso migratorio dell’America latina è che ci sono tantissimi venezuelani lungo tutto il continente», ha sintetizzato il preposito generale della Compagnia di Gesù. «Il Venezuela è storicamente piuttosto un paese di accoglienza, purtroppo è una novità storica che adesso sia un paese che espelle migranti». Quanto ai numeri, padre Sosa sottolinea che non ci sono certezze: «Il numero più credibile che ho letto è che tra il 2016 e il 2017 più o meno un milione e mezzo di venezuelani hanno lasciato il paese, e questa è una cifra molto importante per un paese con trenta milioni di abitanti».  

 

E così, «in risposta all’appello di Papa Francesco di accogliere, proteggere e integrare i migranti e rifugiati», si legge nella presentazione del progetto, otto Conferenze episcopali del Sud America (Brasile, Colombia, Ecuadro, Cile, Perù, Bolivia Paraguay e Argentina), coordinate da quest’ultima, hanno deciso di «lavorare insieme per dare risposte concrete alle sfide poste dal flusso massiccio di venezuelani che hanno deciso di emigrare verso un altro paese del subcontinente in questi ultimi anni». Tra le attività previste, centri di servizi e rifugio per i migranti, assistenza per l’alloggio, il lavoro e, nel lungo periodo, l’inclusione sociale, l’accesso all’educazione e alla salute, advocacy e assistenza legale, formazione professionale di agenti pastorali, campagna di sensibilizzazione delle comunità locali.  

 

Molti servizi, ha precisato padre Fabio Baggio, sottosegretario della Sezione «Migranti e Rifugiati» del Dicastero vaticano guidato dal cardinale Peter Turkson – sezione il cui interim è però detenuto dal Papa in persona – «già sono avviati in diverse località e l’idea è quella di moltiplicarli». Padre Baggio ha peraltro sottolineato che l’iniziativa si rivolgerà sì ai migranti venezuelani in prima battuta ma, più in generale, a «tutti i migranti e anche i locali vulnerabili entreranno nel progetto». L’altro sottosegretario, il gesuita Michael Czerny, che ha sottolineato come questo progetto sia «in linea con i venti punti d’azione approvati dal Dicastero e con quanto insegna Papa Francesco»; poi ha raccontato: «Personalmente mi è capitato di essere rifugiato e so quanto è importante, quando si è in situazione di choc e di delusione, avere le informazioni giuste per prendere le buone decisioni, cosa che peraltro previene anche dal rischio di finire nella rete del traffico di esseri umani». 

 

Il finanziamento del progetto, intitolato «Ponti di solidarietà – Piano pastorale integrato per assistere i migranti venezuelani in Sud America», è di 400mila euro quest’anno e 400mila euro l’anno prossimo, ed è a carico delle stesse Conferenze episcopali che lo promuovono. «Ognuno si copre la coperta che trova!», scherza padre Sosa, «questo è quello che abbiamo. Ma – sottolinea – non è l’unico progetto di attenzione ai migranti, anche venezuelani, in America latina: ci sono altri progetti, ci sono progetti dei gesuiti, altri progetti delle stesse Conferenze episcopali, c’è la Caritas che ha un grande progetto, ci sono altre famiglie religiose, ad esempio i Missionari della Consolata e i Comboniani e tanti altri. E poi c’è il volontariato: c’è tanta gente che fa questo lavoro senza essere pagata e che condivide il cibo, la casa, il lavoro, un pezzo di terreno da coltivare. Questi numeri non dicono niente di quella che è la vera solidarietà e la vera accoglienza umana». 

 

Padre Sosa non è voluto entrare nelle questioni politiche del paese come le prossime elezioni, perché come ha spiegato padre Czerny: «Non focalizziamo l’attenzione sull’emergenza ma sulle persone che hanno bisogno». Anche padre Baggio ha sottolineato che «non entriamo in queste questioni: i vescovi venezuelani e la Santa Sede hanno già espresso le posizioni opinioni al riguardo». 

 

Quanto all’Europa, che ha la tentazione di chiudere le porte ai migranti, cosa insegnano i Paesi latino-americani spesso poveri che accolgono migranti da altri paesi? «Che è una tentazione», risponde padre Sosa. «Anche in Africa, in Asia i Paesi più poveri sono i più accoglienti, i poveri sono i più accoglienti. L’Europa ha molto da riflettere, anche l’Europa ha ricevuto questa solidarietà nel passato non tanto lontano: quando gli spagnoli, gli italiani sono andati in America latina, non era un continente ricco, eppure hanno trovato posto, hanno messo su famiglia. E hanno contribuito allo sviluppo del paese: questa è una cosa che il Papa ripete tanto, questi migranti arrivano in un paese per contribuire, per mettersi al servizio di quel che si fa in quel paese. Quello che queste persone sono, lo mettono al servizio degli altri. In un continente come l’Europa che invecchia, l’imigrazione giovane ci vuole, è un regalo che si riceve e bisogna riceverlo come tale». 

Iacopo Scaramuzzi – VaticanInsider

 

Chiesa cattolica svizzera

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