Sindone, ecco la ricostruzione in 3d del corpo avvolto

Dopo due anni di lavoro, l’Università e l’Azienda Ospedaliera di Padova hanno realizzato quello che attualmente è il modello fisico tridimensionale più scientificamente attendibile dell’immagine impressa sulla Sindone.

Questo non era supino, ma, a causa del rigor mortis, manteneva il busto ruotato, la testa china in avanti e le ginocchia piegate. La lussazione delle spalle, già documentata da tempo, spiega come fosse stato possibile unire le braccia del cadavere fino a coprire il pube senza che fossero legate». Di statue di Cristo ricavate dalla Sindone se ne sono già realizzate, basti pensare a quella famosa dello scultore Luigi Mattei in occasione del Grande Giubileo del 2000, ma questa è stata riprodotta utilizzando nuove tecniche innovative anche computerizzate, in base alle misurazioni scientificamente rilevabili dal Sacro Telo, almeno per il 90%. 

La Sindone e la tecnologia  

Da quel giorno del 1898 in cui l’avvocato e fotografo Secondo Pia scattò le prime immagini del Sacro Lino rivelando che l’impronta si comportava come un negativo naturale, la scienza si è applicata instancabilmente alla reliquia raccogliendo un’enorme quantità di dati. Come se la Sindone accompagnasse gradualmente il progresso della conoscenza umana rispettando, al contempo, il libero arbitrio dell’Uomo e la sua libera scelta di fede, la scienza e la tecnica hanno potuto trovare, negli ultimi decenni moltissimi indizi favorevoli all’autenticità, ma anche qualche elemento contrario.

 

Nella «lotta» fra scienziati autenticisti e scettici la Chiesa ha mantenuto sempre un certo riserbo a pronunciarsi definitivamente, pur sostenendo il culto della reliquia che rimane ancora «un mistero di croce e di luce», come ebbe a definirla papa Benedetto XVI.

Punti comuni  

Già nel ›67 il fotografo Leo Vala aveva dimostrato la tridimensionalità dell’uomo sindonico. Nel ›78 il prof. Giovanni Tamburelli, dell’Università di Torino, ne produsse, grazie all’informatica, delle ottime immagini computerizzate. La varia luminosità di ogni punto dell’immagine sindonica poteva essere correlata alla distanza di punti corrispondenti su un corpo umano. Questo risultato non si sarebbe potuto ottenere attraverso un’opera artistica e quello che, infatti, trova concordi gli scienziati dei diversi orientamenti è che il lenzuolo non sia stato dipinto a mano, ma che si tratti dell’impronta di un corpo umano a tutto tondo, che questo fosse un uomo vivo, un cadavere, o una statua. L’ipotesi del bassorilievo non risulta plausibile – come dimostrato dal Prof. Fanti – a causa di evidenti distorsioni dell’immagine sindonica coerenti solo con l’avvolgimento di un corpo umano, rilevate anche a livello sperimentale durante la realizzazione del modello tridimensionale.

 

Altro dato unanimemente riconosciuto è che l’impronta è indelebile e i fili del tessuto dell’immagine si presentano scuriti solo nelle fibre superficiali. Un’altra strana caratteristica è che, sullo stesso filo, le fibre scure sono affiancate a fibre rimaste bianche. Tale fenomeno sarebbe possibile, a detta del prof. Fanti, solo attraverso una qualche irradiazione legata ai campi elettrici. Non a caso, i vari esperimenti compiuti per riprodurre in laboratorio la Sindone con bassorilievi metallici riscaldati o spalmati di una soluzione acida non sono stati giudicati soddisfacenti poiché nei punti di contatto con la matrice, i fili sono stati bruciati o macchiati interamente.

La riproduzione del Prof. Garlarschelli  

Ad oggi, il risultato visivo migliore, a detta anche degli scienziati autenticisti, è stato ottenuto dal chimico pavese Luigi Garlaschelli, membro del Cicap (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), il quale ha combinato varie tecniche: un uomo vivo, con il viso coperto da un bassorilievo è stato cosparso interamente di un pigmento leggermente acido. Il lino in cui il volontario è stato avvolto, perfetta replica del telo sindonico, è stato poi accuratamente lavato e invecchiato artificialmente. Sono state poi aggiunte macchie di sangue umano. Le zone in cui si era verificato il contatto fra il tessuto e la soluzione acida sono così rimaste ingiallite in un modo che riproduce discretamente quelle dell’originale.

 

«La Sindone riprodotta da Garlaschelli – commenta Fanti – offre un risultato molto convincente alla vista, ma a livello microscopico non funziona: i residui dei pigmenti necessariamente mescolati alle sostanze acide sono perfettamente visibili all’ingrandimento e il lavaggio non ha potuto eliminarle. Nella Sindone originale invece non vi sono tracce di simili sostanze coloranti. Le fibre dei fili sono marcatamente scurite solo nei punti di contatto dei fili con l’acido, al contrario di quanto avviene per l’originale in cui le fibre sono ossidate in modo omogeneo. Il prof. Garlaschelli non ha risposto a queste mie osservazioni pubblicate sul Journal of Imaging Science and Technology (Vol. 5 N.2 del 2011), pur essendo stato invitato a farlo dall’editore. Posso quindi affermare che nemmeno lui è stato in grado di riprodurre la Sindone con tutte le sue molteplici caratteristiche estremamente particolari, né tantomeno di dimostrare che possa trattarsi di un falso».

L’Università di Torino e il calcolo delle probabilità  

Non è possibile riassumere qui il mare magnum degli studi sulla Sindone e, per quanto lo scetticismo sia d’obbligo, non si può evitare di citare gli studi di Paul de Gail e del Prof. Bruno Barberis, dell’Università di Torino che hanno fornito calcoli delle probabilità sull’autenticità del telo. Posto che l’Uomo della Sindone: indossava un casco di spine, è stato inchiodato sulla croce ed ha ricevuto un colpo di lancia al costato, ha avuto un lenzuolo dopo la morte, vi è rimasto avvolto poco tempo, considerato che il suo sangue risulta separato dalla tela senza sbavature e che l’impronta del viso reca un’espressione nobilmente serena nonostante l’atrocità del supplizio, dal computo totale, successivamente corretto, risulta che vi è una probabilità su 18 miliardi che la Sindone non abbia avvolto il corpo di Cristo, bensì quello di un altro sconosciuto condannato alla crocefissione.

 

Lo scoglio del Carbonio 14  

Il più noto indizio contrario all’autenticità della Sindone è stato l’esame, condotto nel 1988, sul Carbonio 14 che ha datato il lino fra il 1260 e il 1390, la stessa epoca in cui cominciano ad apparire le notizie più certe sull’esistenza del Telo. Se, da un lato, questi esami sono stati fortemente messi in discussione per scorrettezze procedurali ed errori statistici, dall’altro si ritiene che il Telo sia stato «inquinato» da qualche contaminazione esterna. Altre possibili cause di inquinamento potrebbero essere state le sostanze liberatesi durante l’incendio del 1532, a Chambery, in Francia, che coinvolse il reliquiario d’argento della Sindone fino a fonderlo parzialmente, oppure durante il restauro subito successivo, eseguito dalle suore. L’esame sarebbe da rifare, ma il problema è che esso è distruttivo e comporterebbe la combustione di altri cm quadrati del Lenzuolo.

Il falsario medievale  

Per far coesistere i dettagli oggettivi della Sindone con la datazione al carbonio 14 bisognerebbe supporre che un geniale, crudele falsario medievale avesse sottoposto un uomo suo contemporaneo al martirio di Cristo, utilizzando strumenti filologici. Il falsario avrebbe dovuto possedere tecniche superiori alle attuali conoscenze per lasciare l’impronta solo sulle fibre superficiali del lino, immaginando che nel futuro ci si sarebbe avvalsi di microscopi potentissimi. Alcuni scettici hanno fatto persino i nomi di Giotto o di Leonardo da Vinci, ma difficilmente quei genii avrebbero crocifisso un uomo pur di realizzare una falsa reliquia.

Medievale o no, il punto fondamentale è che ancora oggi l’immagine corporea non è riproducibile e manca una tecnica capace di produrre le più di 100 particolarissime caratteristiche della Sindone. L’ipotesi di un falsario medievale appare quindi poco più che un esercizio retorico.

 

Il Museo egizio di Torino e la nuova datazione  

«Abbiamo provveduto a condurre procedimenti di datazione alternativi rispetto al carbonio 14 – continua il prof. Fanti – questa volta di tipo meccanico. Abbiamo raccolto vari campioni di fibre di tessuti di lino antichi di varie epoche, e anche lo stesso Museo egizio di Torino ce ne ha fornito alcuni. Con una macchina speciale abbiamo trazionato ciclicamente le fibre fino a portarle alla rottura. Abbiamo potuto così ottenere una scala fra i parametri meccanici delle fibre e la loro età. Questi risultati, combinati con altre datazioni di tipo chimico ci hanno condotto a datare la Sindone in un intervallo di tempo di 250 anni intorno al I secolo. Vi è poi una datazione numismatica molto importante. I primi conii di alcune monete bizantine del VII sec. d.C. riportano dettagli chiaramente ispirati all’immagine sindonica (che all’epoca doveva essere molto più visibile), come, ad esempio, i capelli di Cristo più lunghi a sinistra, e la tumefazione della guancia destra. Le probabilità che queste e altre coincidenze nel nell’effige di Cristo siano casuali ammontano a sette su un miliardo di miliardi. Queste monete dimostrano quindi che la Sindone esisteva ed era già venerata nei primi secoli dopo Cristo».

L’ipotesi chiave  

Come già detto, il cadavere fu estratto dal lenzuolo entro 40 ore dalla morte, questo si evince dalla mancanza di segni di putrefazione e dalla rigidità cadaverica ancora assai pronunciata. Tuttavia, la rimozione del corpo avrebbe dovuto lasciare sbavature in corrispondenza delle croste di sangue ridiscioltesi nell’ambiente umido del sepolcro; sulla Sindone tutte le tracce ematiche sono invece perfettamente decalcate.

Una delle ipotesi che riesce a conciliare la maggior parte dei dettagli tecnici è che l’Uomo della Sindone, crudelmente fustigato e crocefisso intorno al I secolo, o in epoca più tarda, si sia letteralmente smaterializzato entro 40 ore dalla morte, all’interno del lenzuolo, emettendo un lampo di elettroni (e non solo) che impressionarono la tela come se fosse stata una pellicola fotografica. Non è da escludere che l’esplosione di energia sia stata anche la responsabile dell’alterazione radioattiva del carbonio 14. Nel caso in cui ci si volesse aprire all’ipotesi che l’impronta sia effettivamente quella di Gesù Cristo, si avrebbe la chiave per cercare di comprendere, anche attraverso le leggi della fisica, il mistero della Risurrezione.

Andrea Cionci – VaticanInsider

Chiesa cattolica svizzera

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