Il Vescovo (clandestino) Jin Lugang: siamo felici del dialogo Papa-Cina

«Ho mandato un messaggio al Papa, per dirgli che io e tutta la mia comunità diocesana, tutti i preti e anche le suore siamo felici che lui dialoga con la Cina. Sosteniamo la Santa Sede in questo lavoro, e seguiremo tutto quello che lui vorrà dire alla Chiesa che è in Cina». La voce di Pietro Jin Lugang è serena e decisa. Cammina sapendo bene dove andare. Da vescovo «clandestino» di Nangyang, ha sopportato anche lui con la pazienza della fede prelevamenti e sessioni di indottrinamento da parte dagli apparati politici cinesi, che non riconoscono il suo ufficio episcopale. E adesso, esprime lo stesso sguardo di fede davanti alle voci insistenti che dicono possibile un’intesa tra Pechino e Santa Sede sulle nomine dei vescovi cinesi: «Tutto quello che abbiamo sopportato» fa notare il vescovo Jin «lo abbiamo sopportato per non nascondere la nostra comunione con il Papa. E adesso, se ci fosse un’intesa tra il Papa e il governo, come potremmo non esserne felici? Come potremmo non seguirlo? Vuol dire che il governo riconosce il Papa. Che noi possiamo andare avanti in piena unione con lui. E non ci viene proprio in mente di fare altrimenti». Tutto qui. Semplice e chiaro. Come una bella giornata di sole.

Vescovo Pietro Jin, la sua terra ha visto l’opera dei missionari del PIME, nella sua stagione gloriosa.  

«Nella seconda metà dell’Ottocento furono loro a dar vita al Vicariato apostolico, il primo dell’Henan, nel centro della Cina. Io vengo da una famiglia cattolica e sono stato ordinato sacerdote nel 1992, quando il vescovo di Nanyang era il mio parente Giuseppe Jin Dechen, che è stato il primo vescovo cinese della diocesi. Adesso la diocesi ha una comunità di circa 20mila fedeli, con circa 50 suore e 23 sacerdoti».

 

La vicenda recente della sua diocesi sembra un emblema di quanto sia intricata la condizione della Chiesa cattolica in Cina.  

«Per Nanyang, nel 1995, era stato ordinato vescovo Giuseppe Zhu Baoyu, nato nel 1921. Prima, tra gli anni Sessanta e gli Ottanta, lui aveva trascorso molti anni in prigione e nei campi di rieducazione. Era un vescovo «sotterraneo», ordinato con l’approvazione del Papa ma fuori dal controllo del governo. Poi, nel 2007, in vista della sua successione, io sono stato ordinato vescovo coadiutore, sempre in maniera «sotterranea». Nel 2010 la Santa Sede ha accolto le dimissioni del vescovo Zhu, e io sono diventato l’ordinario della diocesi. Ma poco dopo gli apparati politici locali hanno deciso di riconoscere proprio Zhu come vescovo «ufficiale», e il 30 giugno lo hanno fatto installare nella cattedrale come vescovo riconosciuto dal governo. Così anche la diocesi è divenuta «ufficiale». Ora siamo due vescovi, ambedue ordinati con l’approvazione del Papa, ma ufficialmente il governo riconosce come vescovo solo Zhu, che adesso ha 97 anni».

 

Come sono i vostri rapporti?  

Siamo due vescovi che vivono in comunione nella stessa città. Giuseppe Zhu è il vescovo emerito, e io sono il vescovo ordinario. Lui, riconosciuto dal governo, risiede nella cattedrale. Io vivo nella parrocchia del mio paese. Ma ho potuto fare la visita pastorale a tutte le altre parrocchie. E a volte anche io celebro la messa in cattedrale. Siamo sempre stati tutti e due fedeli al Papa e alla Santa Sede. E negli ultimi anni, da quando è ripreso il dialogo, le cose sono migliorate anche col governo, che non ci chiede niente di contrario alla fede cattolica. Devo solo informare le autorità quando esco da Nanyang».

 

Ma in passato, anche Lei ha subito pressioni, periodi di allontanamento forzato dalla diocesi e sessioni di indottrinamento.  

«Quelli del governo mi hanno detto di non fare celebrazioni per la presa di possesso della diocesi. Io ho sempre detto che potevo rinunciare alle celebrazioni pubbliche, ma rimanevo il vescovo di Nanyang. Nel 2012 mi portarono in un albergo nei giorni di Pasqua, e non potei celebrare le liturgie del triduo pasquale. Ma quello era un periodo di tensione tra la Cina e il Vaticano».

 

Adesso, se la Santa Sede e il governo cinese trovano un inizio di intesa, non ha l’impressione che quelle fatiche e sofferenze vengano disconosciute, tradite, gettate al vento?  

«Noi volevamo solo seguire Gesù, in unione con il Papa e con tutta la Chiesa cattolica. Questo può comportare fatiche e sofferenze. Fa parte della nostra vita secondo il Vangelo. Se le viviamo in compagnia di Gesù, uniti a Gesù, è come prendere parte alle sue sofferenze. E Gesù non lascia cadere nel vuoto le nostre sofferenze. Lui le riconosce, le abbraccia e le rende preziose. Perciò non abbiamo bisogno di nessun altro riconoscimento, di nessun altro premio. Non ci viene da rimproverare nessuno, quando vediamo che le nostre sofferenze le ha prese con sé Gesù».

 

Quindi, come vede le notizie dei possibili sviluppi del dialogo tra Santa Sede e governo cinese?  

«Se adesso il governo parla con il Papa, riconosce il Papa. È una bella notizia che ci rende felici. Le fatiche e le difficoltà del passato non si cancellano, fanno parte della nostra vita con Cristo. Ma adesso non mi viene da pensare al passato, a quei tempi di difficoltà. Se il governo parla con il Papa, riconosce il Papa, e noi potremo esprimere la nostra piena comunione con il Papa».

 

Eppure c’è chi organizza mobilitazioni e pressioni per dire al Papa di non andare avanti con la Cina. E dice anche che un accordo con la Cina sarebbe un tradimento e una «svendita» delle vostre sofferenze.  

«Ma tutte le difficoltà le abbiamo sopportate per non nascondere la nostra comunione con il Papa. E adesso, se c’è un’intesa tra il Papa e il governo, come possiamo non esserne felici? Come possiamo non seguirlo? Vuol dire che potremo andare avanti in piena unione con il Papa. E non ci viene proprio in mente di fare altrimenti. Se il Papa fa un accordo col governo, noi lo seguiamo, continuando con lui lungo la stessa strada su cui abbiamo dovuto attraversare sofferenze e fatiche. Per seguire Gesù abbiamo accettato di soffrire, e per lo stesso motivo ora siamo contenti, perché certi problemi si possono risolvere e si può guardare avanti».

 

Ma adesso, concretamente, come vanno le cose nella sua diocesi?  

«I sacerdoti sono uniti, io ci tengo che le cose vengano decise in una consultazione con tutti loro. Lavoriamo tutti per l’unità della Chiesa, e io sento che Papa Francesco ci sta portando a vivere questa unità. Abbiamo aperto anche una casa di accoglienza per i disabili e due case per gli anziani».

 

Ma non ha nessuna preoccupazione per le trattative tra governo cinese e Santa Sede? Nessun suggerimento da dare?  

«Certo, chiedo che si usi sempre la prudenza in questo processo. Ma il dialogo iniziato in questi anni ha prodotto già benefici da noi. Il governo ci chiede solo di registrarci. I sacerdoti si sono fatti tutti registrare dal governo. E se la Santa Sede mi dirà che posso farlo, per aiutare il lavoro pastorale, mi registrerò anche io. Credo che in tutto questo, nei rapporti col governo e le autorità politiche, tutti dobbiamo sempre seguire la frase di Gesù riportata nel Vangelo: dare a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio».

Gianni Valente – VaticanInsider

Chiesa cattolica svizzera

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