Ancora manifestazioni di piazza in Tunisia nel giorno del settimo anniversario della rivoluzione che fece sognare al popolo la democrazia, all’indomani della fine del regime di Zine el-Abidine Ben Ali. Nell’ultima settimana, gli scontri hanno causato l’arresto di 803 persone, 97 agenti di polizia feriti, 87 autoveicoli danneggiati e alcune caserme di polizia date alle fiamme. La democrazia non si acquisisce né si impone, «è un processo che matura e qui questo non è ancora successo», commenta mons. Ilario Antoniazzi arcivescovo di Tunisi.
«Gli anni della dittatura» racconta mons Antoniazzi «hanno tagliato ogni tipo di libertà, ma la Rivoluzione dei Gelsomini ha causato altrettante e troppe illusioni». Partito dal Paese il presidente Zine el-Abidine Ben Ali, non sono finiti i problemi, anzi la vita è diventata più difficile, spiega. Se a livello di diritti in Costituzione passi in avanti non sono mancati, l’economia, afferma, è in grave difficoltà: alta inflazione, disoccupazione in crescita, svalutazione della moneta e crisi dell’import. E a pagare il prezzo più alto sono i giovani e il sud del Paese già povero, nonostante proprio da quel sud oggi dimenticato, sette anni fa, sia iniziata la Rivoluzione. «I giovani sono il 60%» racconta l’arcivescovo «ed è impressionante vederli sempre nei bar, senza nulla da fare».
«Il popolo reclama diritti e lo fa pacificamente, ma infiltrazioni di criminali creano disordine e distruzione e danno del Paese un’immagine sbagliata». Secondo mons Antoniazzi c’è solo sete di democrazia, ma purtroppo non si sa cosa essa sia in concreto:»Io credo che la politica nel suo cammino di democratizzazione in corso da sette anni, stia oggi passando una sorta di crisi dell’adolescenza: la democrazia non è un dono o un’imposizione, ma è il frutto di un lungo cammino che qui ancora non abbiamo fatto. Mancano leader che dicano cosa è la democrazia e come realizzarla».
La Tunisia ha bisogno di pace e stabilità specie dal punto di vista economico. E per accompagnare il progresso di maturazione politico e sociale, la Chiesa, spiega l’arcivescovo, può oggi molto più che in passato. Mons Antoniazzi parla di una Chiesa ascoltata e rispettata per i valori di cui si fa voce, nonostante resti una Chiesa «fragile»: «Siamo visti come un’istituzione che può dare speranza, fiducia, può indicare il cammino giusto». Dal canto suo mons Antoniazzi ribadisce anche di essere ormai tutt’uno col popolo tunisino e di accoglierne e condividerne gioie e dolori: «il nostro compito è indicare una via che porti alla democrazia vera, anche aiutando la gente che ha fame e che non può essere abbandonata alla violenza».
Gabriella Ceraso- Città del Vaticano (VaticanNews)
Chiesa cattolica svizzera
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