Quelle estati di Giovanni Paolo II tra le valli di Comelico e Cadore

In quella storia delle «vacanze papali» che prima o poi si potrebbe scrivere e comincia da lontano, quando i Pontefici – già dopo il Mille – si allontanavano da Roma per sfuggire alla canicola e all’aria pessima per i corsi d’acqua impaludati, le pagine tessute da Stefano Vietina nel suo «Il ricordo e l’emozione. A 30 anni dalle prime vacanze di Papa Giovanni Paolo II in Comelico e Cadore» (Edizioni Arco, pp. 176, euro 15, arricchito da molte fotografie e – in appendice – da sintesi in inglese, francese, spagnolo, tedesco), costituirebbero un capitolo a sé con valore di cesura.

 

Perché se è vero che le villeggiature estive dei Papi, come consuetudine quasi regolare cominciano con Innocenzo III (che regnò fra il 1198 e il 1216) e le loro mete per secoli sarebbero state amene cittadine nei dintorni di Roma (Segni, Anagni, Viterbo, Sora, Tivoli, Montefiascone..) sino al consolidarsi di Castel Gandolfo, vicino al lago di Albano, dove il palazzo fatto costruire da Urbano VIII (Papa dal 1623 al 1644), diventerà il luogo privilegiato per oltre tre secoli e mezzo (divenendo una sorta di «Secondo Vaticano»), è con Giovanni Paolo II e la scelta dei «Monti Pallidi» che la novità irrompe davvero nelle vacanze papali. E se è pur vero che le sequenze fotografiche di Giovanni Paolo II in preghiera sulla distesa di ghiaccio della Brenva in Valle d’Aosta precedono di un anno quelle del Papa polacco sulle Dolomiti, andrà pur ricordato che Wojtyla in quell’occasione fu ad Aosta il 6 e 7 settembre in visita pastorale, e che quella in Comelico e Cadore fu dunque la prima villeggiatura estiva di un Papa lontano da Roma.

 

Nessuno dimentica che per ben nove volte Giovanni Paolo II avrebbe poi scelto i sentieri alpini della Valle d’Aosta, alternandoli a quelli del Cadore. E, certo, restano nelle cronache le rapide escursioni e brevi sciate sul Terminillo e il Gran Sasso dell’«atleta di Dio», le sue salite in cima alla Marmolada o all’Adamello o in altri luoghi «vicini a Dio», prima dell’arrivo della vecchiaia accompagnata dalla fragilità e dalla malattia.

 

Ma quella che qui raccontiamo è un’altra storia. Perché Vietina, giornalista ed esperto di comunicazione, nei suoi testi e attraverso le immagini selezionate che li accompagnano, si concentra esclusivamente su ricordi indelebili riguardanti Giovanni Paolo II in Cadore: là dove il Pontefice (canonizzato da Papa Francesco insieme a Giovanni XXIII il 27 aprile 2014) arrivò per la prima volta l’8 luglio 1987 (rimanendovi sino al 14 dello stesso mese), per poi tornarvi altre cinque volte (›88, ›92, ›93, ›96 e ›98). E le testimonianze recuperate – che tanti anni dopo paiono conservare intatte le emozioni provate allora – sono quelle di tante persone semplici trovatesi di fronte al successore del loro conterraneo Albino Luciani, in differenti situazioni.

 

Chi, all’improvviso, come Rosalia Martini Barzolai, che, stupefatta, si vide il Papa sulla porta del suo Rifugio (il «Berti», in Comelico) e gli offrì un semplice bicchiere d’acqua: «Voleva acqua delle nostre cascate, che aveva visto pochi minuti prima. Poi, per sicurezza, la sua scorta mi fece servire acqua minerale». O come Sabina Casanova Borca che, a Costalta, con la gerla ed il rastrello in spalla, di ritorno dalla raccolta del fieno, venne raggiunta dal Papa sentendosi chiedere di chi fosse una casa al limitare del paese: «Ma si trattava solo di un fienile. E mi venne da pensare che al suo paese, in Polonia, evidentemente avevano case come i nostri fienili, e non se la dovevano poi passare tanto bene».

 

 

 

Ma c’è spazio, appunto per chi ebbe una piccola parte affidatagli in quella settimana straordinaria. Come Aldo Boccingher, maître di un hotel a Sappada e chiamato a preparare un pranzo per l’illustre ospite e pochi commensali in una casermetta della Forestale in Val Visdende, che ricorda ancora lo scambio di battute per ottenere un autografo: «Santo Padre, sarei onorato di avere una sua firma sul menù per un ricordo di questa giornata…». Autografo subito concesso: «Tutto buono e tutto bello qui, grazie». O come Alfia Pomarè, cuoca rinomata, che non solo cucinò per Wojtyla, ma fu ringraziata con il supplemento di un fuori programma: «Dopo pranzo il Santo Padre venne nella cucina e mi disse che era rimasto soddisfatto. Ovviamente fu una grande emozione, a cui se ne aggiunse un’altra perché, qualche minuto dopo, ebbi anche la grande opportunità di volare sull’elicottero del Papa e di vedere da lassù tutto il mio Comelico…».

 

Con loro, capitolo dopo capitolo, ecco entrare in scena, accompagnati da ritratti, tanti altri testimoni di incontri. Una bella schiera. Chi considera un privilegio indimenticabile aver servito da bere al Papa, come Roberto Brovedani, oggi titolare di un ristorante stellato a Sappada che custodisce quei bicchieri come una reliquia; chi condivide la stessa soddisfazione per aver mangiato seduto al suo fianco, come i forestali Cleto Costa e Remo de Mario. E chi il Papa se l’era andato a cercare in montagna, ad esempio Achile Carbogno, sindaco di Comelico Superiore, che incontrò Wojtyla non in quella veste, ma, appunto, sui sentieri, come riuscì a monsignor Attilio Zanderigo, arciprete della cattedrale di Belluno, insieme a sua madre e ad una parrocchiana.

 

C’è anche chi invece fu incaricato (dall’allora vescovo di Belluno-Feltre, Maffeo Ducoli) di programmare quelle gite montane del Papa vestito come un qualsiasi turista, Gildo Tomasini. Lui, questo ingegnere riservato, ricorda: «…Era affabilissimo il Santo Padre, però parlava poco, anche se con il Suo essere «parlava» sempre, mentre passeggiava; pregava e ammirava molto; si impossessava dei panorami, si immergeva in essi e se li teneva dentro, li gustava profondamente, e il resto… lo sa solamente Lui». E ancora: «Vidi spesso il Santo Padre sorridere. Del Comelico-Sappada e del Cadore mi disse che gli piacevano moltissimo, in particolare, la continua varietà del paesaggio durante le escursioni: il prato, il pascolo, il bosco, le rocce, la neve, i corsi d’acqua».

 

Documento di un legame e di un affetto nel ricordo di quel soggiorno narrato in diretta da tanti cronisti e immortalato da tanti fotografi, questo volume di Vietina si squaderna tutto nel segno della «prossimità del Pontefice». Sì, quella cui ci aveva cominciato a tendere San Giovanni XXIII e ci ha reso naturale Papa Francesco (che in quel 1987 viveva a Buenos Aires e non era ancora nemmeno vescovo), ma che proprio con Giovanni Paolo II si manifestava lasciandosi dietro per sempre il tempo delle sedie gestatorie.

 

Non è tutto, perché, a saper leggere, queste pagine paiono anche voler dire qualcosa di più ai lettori. E può essere utile metterlo in evidenza. Non nascondendo il significato del traino promozionale senza precedenti che quella visita ebbe per l’intera Valle («Che soddisfazione vedere su tutti i giornali del mondo le immagini delle nostre montagne!», dice qui il fotografo Luciano Solero), Vietina si chiede cosa è stato fatto (qualche tabellone a parte) per valorizzare quella straordinaria presenza sul territorio. E scrive: «Gli anniversari servono per ricordare, con gioia e riconoscenza, ma se alimentano qualche riflessione sul futuro allora diventano anche decisamente utili». Difficile non dargli ragione.

Stefano Vietina, «Il ricordo e l’emozione. A 30 anni dalle prime vacanze di Papa Giovanni Paolo II in Comelico e Cadore», Edizioni Arco, pp. 176, euro 15. 

Marco Roncalli – VaticanInsider

Chiesa cattolica svizzera

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