Tra cristianesimo e islam. I sette dormienti di Efeso

«Un mito resiste alla prova del tempo, funzionando proprio come i Dormienti: si fa dimenticare, si addormenta, sembra sparire per meglio risvegliarsi quando nessuno lo attende più», spiega l’antropologo Manoël Pénicaud a «la Croix», che il 2 luglio scorso ha dedicato un dossier alla leggenda dei Sette Dormienti di Efeso. Una storia molto antica che dalla metà del Novecento sta vivendo una seconda giovinezza, diventando un’occasione concreta di incontro per musulmani e cristiani — un pellegrinaggio da fare insieme, il quarto sabato di luglio, ma ne parleremo più avanti — oltre che, come è stata da sempre, un’allegoria della risurrezione e del fiducioso abbandono alla volontà divina, premiato dalla vita eterna.

Il racconto cristiano ricorda i giovani credenti di Efeso perseguitati per la loro fede, miracolosamente addormentati in una grotta, e risvegliati alcuni secoli dopo. Citato nella sura xviii del Corano — dove si parla degli Ahl al Kahf, «persone della caverna» — il mito si è diffuso progressivamente nel Mediterraneo, e numerosi siti sono stati individuati come la grotta originale.

Nei secoli, i sette dormienti sono stati oggetto di una grande venerazione popolare. La leggenda si è diffusa in occidente — ne parla Gregorio di Tours nella Passio sanctorum septem dormientium, adattamento in latino di una omelia metrica del vescovo siriano Giacomo di Sarug e la cita Jacopo da Varazze nella sua Legenda aurea— propagandosi contemporaneamente anche in Siria, Egitto e Abissinia. I sette sono venerati come santi dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa; secondo la tradizione cattolica i loro nomi sono Costantino, Dionisio, Giovanni, Massimiano, Malco, Marciano e Serapione. Il martirologio romano li ricorda il 27 luglio; gli ortodossi li celebrano il 4 agosto e il 22 ottobre.

«I sette nomi dei santi addormentati sono stati incisi nell’viii secolo in copto sulle pareti di una cappella della Nubia», scrive Anne-Bénédicte Hoffner sul giornale francese, sempre del 2 luglio. «Sono spesso invocati per avere sollievo dalla febbre e dall’insonnia, o per proteggere i bambini, perché secondo la tradizione erano giovanissimi, dei ragazzi appena adolescenti. Nel mondo musulmano, i loro nomi — curiosamente, anche quello del loro cane, Qitmir — vengono spesso incisi sugli oggetti di uso comune per proteggere la casa dal malocchio».

Dagli anni Trenta del Novecento in poi Louis Massignon, orientalista e professore al Collège de France, ha iniziato a censire i luoghi in cui si ricordano e si venerano, nelle comunità islamiche come in quelle cristiane. Negli anni Cinquanta questa raccolta è diventata sistematica, ed è approdata alla pubblicazione. A Guidjel in Algeria, vicino a Sétif — continua Anne-Bénédicte Hoffner nel suo articolo — sette pilastri romani in un cimitero sono considerati le tombe dei Seb’ Ruqud, dei sette dormienti, l’ottavo la sepoltura del loro cane. A Marmoutiers, vicino Tours, una cappella ospita una cripta con i sarcofagi dei sette, venerati come i cugini di san Martino «addormentati in un lunghissimo sonno».

Nel 1951 la figlia di Massignon, etnologa e studiosa di linguistica, scopre un canto bretone in cui si parla del perdono dei sette santi, celebrato alla fine di luglio nel paese di Le Vieux-Marché, sulla costa di Armor. I sette venerati dalla religiosità popolare non sono, secondo l’islamologo cattolico, i sette vescovi evangelizzatori della Francia, ma i Dormienti di Efeso. Qualche anno più tardi, il 25 luglio 1954, nasce il pellegrinaggio islamo-cristiano alla cappella dei sette santi di Le Vieux-Marché. Da allora è un appuntamento fisso per tutta la Bretagna, il quarto sabato del mese di luglio.
La leggenda dei sette dormienti, nei secoli, non ha mai cessato di ispirare gli artisti nella letteratura, nella pittura e nel teatro. È il caso di Goethe, autore del West-östlicher Divan (Divan occidentale-orientale), un viaggio intellettuale partito dall’approfondimento della poesia persiana che mirava a congiungere l’occidente e l’oriente (nel Libro del Paradiso, presente nella raccolta, il decimo e penultimo poema è dedicato ai Sette Dormienti). Un altro esempio è l’Enciclopedia dei morti di Danilo Kiš, opera immaginaria in migliaia di volumi dove sono ammesse soltanto le voci riguardanti persone che non compaiono in alcun’altra enciclopedia, vale a dire la massa sterminata degli ignoti e dei «non illustri» che qui si ritrovano raccontati in un «incredibile amalgama di concisione enciclopedica e di eloquenza biblica» mescolando il fantastico e la cronaca. Uno stile concreto e surreale al tempo stesso che ricorda il modo di comporre di Borges. Neanche lo scrittore argentino, del resto, è rimasto insensibile al fascino fiabesco dell’antica agiografia, in cui erudizione e pietà popolare si fondono armoniosamente insieme. Nel racconto Lo Zahir, infatti, cita la moneta antica che uno dei dormienti avrebbe offerto come prova del tempo trascorso.

Tralasciando le versioni che tendono a una lettura horror della leggenda — come I Vurdalak, un racconto di Aleksej Konstantinovič Tolstòj del 1847 — vale la pena ricordare un dramma in quattro atti dello scrittore egiziano Tawfiq al-Hakim, composto nel 1933, in cui si immaginano i redivivi alle prese con una realtà che non è più quella che conoscevano e l’omaggio dello scrittore algerino Rachid Koraïchi ai sette monaci martiri di Tibhirine, santi «dormienti» certi del risveglio fra le braccia dell’amore di Dio.

(Osservatore Romano)

Chiesa cattolica svizzera

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