Insegnare e toccare le corde del cuore

Ore 13:30. Suona la campanella, la lezione inizia. Venti sguardi puntati addosso, attenti, che aspettano di sentirsi raccontare qualcosa di nuovo, che tocchi le corde del loro cuore e li faccia andar via, a lezione conclusa, più contenti di prima, diversi. È una classe di prima media e questa è quella che chiamano «ora di religione». C’è qualcosa di estremamente affascinante nella trasmissione del sapere che da una mente adulta passa a quella in formazione di un ragazzo. La faccenda diventa ancora più affascinante se il tema da trattare è vasto e complesso come quello delle origini del mondo, ovvero la «creazione». Dicono che nell’insegnamento non si può vedere il frutto di una giornata di lavoro: è invisibile e, forse, rimane così per vent’anni. Parto dunque da questo presupposto: quello che racconto porterà frutto a distanza di anni. «Chissà quante volte ammirando un bel panorama o guardando il cielo stellato in una notte d’estate siamo rimasti affascinati dalla bellezza del mondo…», esordisco e le mani degli allievi scattano pronte in alto. Ognuno vuole dire la sua. Ognuno di loro ha già incontrato la Bellezza. Il mio cuore piroetta: è in questi momenti privilegiati che capisci l’insegnamento di Gesù. Aveva perfettamente ragione quando diceva che il Regno dei Cieli non può che essere affidato ai piccoli: chi meglio di loro saprebbe apprezzarlo e custodirlo? L’essenziale è invisibile agli occhi, ma ci sono sguardi che sanno raggiungere anche queste zone «invisibili». La bellezza del creato non è infatti accessibile a tutti. Sempre più spesso, da adulti, ci dimentichiamo di fermarci a osservare ciò che ci circonda. Così perdiamo frammenti fondamentali con cui costruire la nostra identità e ci sentiamo sempre più disorientati, perché la bellezza «ci sfugge». È un continuo rincorrerla, cercarla nell’effimero e, infine, un arrendersi: «la bellezza non esiste», è il grido sconfortato di un uomo invecchiato prima del tempo. Per poi ripartire, perché dentro qualcosa si ribella a questo grido: qualcuno mi ha raccontato che la bellezza esiste, allora deve pur esserci. E ci sono tappe fondamentale nella nostra ricerca come questi: incontrare una classe di prima media che alla domanda «vi siete mai fermati ad ammirare il cielo stellato?» si agita e annuisce con veemenza. Ma dai cieli ai tramonti, bisogna poi passare a ciò che nel progetto di Dio doveva essere la cosa più bella di tutte, il culmine dell’azione creatrice: l’uomo. «Vi sentite belli?», chiedo. Alcune risate, poi la verità inizia a uscire, di nuovo, come un fiume impetuoso, come si addice a cuori aperti al vero: «Per i miei genitori sono bello», testimoniano – anche commossi – alcuni. Dicono che l’insegnamento è alla base di tutti i mestieri: insegnando si costruisce l’uomo di domani. Spingere gli allievi a diventare consapevoli di cose come la propria bellezza interiore è di essenziale importanza e sono contenta di constatare che questo fondamentale compito educativo inizi già in seno alla famiglia. Ma ci sono degli ostacoli enormi da superare: «Se siamo tutti belli e importanti agli occhi di Dio, perché tra di noi non ci rispettiamo? Perché esiste l’odio?». Senza che io abbia fatto alcunché, la lezione converge automaticamente nella direzione appropriata: parlare della creazione è anche parlare del peccato, che viene a rovinare tutti i piani originali. La cosa più dura da accettare è che ciò che era fonte di gioia e serenità diventa, all’improvviso, motivo di divisione e sofferenza. Il giardino dell’Eden diventa il «giardino perduto» di cui l’uomo sentirà per sempre immancabilmente la mancanza. Infranta l’armonia con Dio anche i rapporti fra gli uomini prendono una piega diversa, che porta all’odio e alla morte. Cito Caino e Abele o il tentativo spropositato di costruire una torre di Babele, che arrivi fino al cielo: megalomanie di un uomo che non sa più chi è. «Ma c’è speranza!», esclamo e avverto un sussulto generale. «Nel racconto della genesi si trova una nota di profonda speranza che, nonostante la tragicità della situazione descritta, dona all’uomo una nuova certezza», spiego. «Dio non dimentica la sua creatura prediletta. Dio cerca l’uomo nel giardino e lo chiama; poi veste Adamo ed Eva con tuniche di pelle; infine promette la vittoria della discendenza della donna su quella del serpente». Ribadisco poi un concetto fondamentale, che vorrei restasse impresso nella mente dei miei allievi alla fine del nostro percorso: quando l’uomo, appunto, non ha più qualcuno che lo veda «bello» e lo ami, si sente perduto. Quindi, la chiave per un’esistenza riuscita, è «non aver paura di riconoscere la bellezza che portate dentro», concludo. E un ragazzo dal fondo dell’aula esplode entusiasta, a coronare le mie parole: «Brava maestra, ha ragione!», senza accorgersi che i veri maestri, questa volta, sono stati loro, gli allievi e la loro capacità di stupirsi. Quanti segreti disvelati in una sola lezione sulla creazione!

Chiesa cattolica svizzera

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