Intervista del cardinale Schönborn alla Civiltà Cattolica – Il passo di «Amoris laetitia»

«Francesco ha fatto un passo importante obbligandoci a chiarire qualcosa che era rimasto implicito nella Familiaris consortio»: il cardinale domenicano Christoph Schönborn entra con puntualità nel vivo della comprensione di Amoris laetitia e dei punti su cui più frequentemente si è concentrata l’attenzione dei media. Era stato proprio l’arcivescovo di Vienna a presentare ufficialmente il testo dell’esortazione apostolica.

E Papa Francesco, come si ricorderà, conversando con i giornalisti sul volo di rientro da Lesbo, il 16 aprile scorso, ha affermato che il porporato austriaco aveva colto bene il significato del documento. Un documento che «è evidente», dice Schönborn, sgombrando il campo da ogni malevola incomprensione, rappresenta «un atto di magistero» perché «è chiaro che il Papa qui esercita il suo ruolo di pastore, di maestro e di dottore della fede, dopo avere beneficiato della consultazione dei due sinodi».

Il porporato torna a riflettere sui contenuti di Amoris laetitia in un’ampia conversazione con il gesuita Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, condensata in venti pagine del quindicinale in uscita il 23 luglio prossimo e anticipata ai mezzi d’informazione. Per Schönborn, il Papa ha «fondamentalmente rinnovato il discorso della Chiesa», certamente «nella linea della Evangelii gaudium, ma anche della Gaudium et spes, in cui i princìpi dottrinali e le considerazioni degli uomini del tempo presente sono in continua evoluzione». C’è insomma una grande disponibilità ad accogliere la realtà, la realtà delle tante e diverse situazioni famigliari, abbracciandone le fragilità. Una disponibilità che, avverte, non può e non deve essere interpretata come un cedimento dottrinale. «La grande sfida del Papa è proprio quella di dimostrare che questo sguardo capace di apprezzare, permeato di benevolenza e di fiducia, non nuoce affatto alla forza della dottrina, ma fa parte della sua colonna vertebrale». Infatti, «Francesco percepisce la dottrina come l’oggi della Parola di Dio, Verbo incarnato nella nostra storia, e la comunica ascoltando le domande che si pongono nel cammino». Quello che viene rigettato invece è uno «sguardo di ripiegamento su enunciazioni astratte, separate dal soggetto che vive testimoniando l’incontro con il Signore che cambia la vita». Perché «lo sguardo astratto di tipo dottrinario addomestica alcune enunciazioni per imporre la loro generalizzazione a una élite, dimenticando che chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio, come disse Benedetto xvi nella Deus caritas est».

di Fabrizio Contessa

Chiesa cattolica svizzera

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