Tre pilastri per costruire la pace duratura: dialogo, educazione, lavoro

Che la pace è più di «assenza di guerra» e di «pacifismo», è stata un’affermazione costante dei messaggi papali per la Giornata mondiale della pace, sin da quando fu istituita da Paolo VI nel 1968 per ogni primo dell’anno. E in effetti, non stiamo forse sperimentando in questa pandemia quanto possiamo desiderare la pace anche senza che vi sia una guerra in corso? Quante volte, infatti, abbiamo sentito l’affermazione «siamo in guerra», e non solo nella nostra battaglia contro il Covid, ma anche contro i cambiamenti climatici, contro la fame nel mondo, contro le disuguaglianze sociali o per una maggiore solidarietà?
Sono queste le forme di «mancanza di pace» odierne che papa Francesco elenca per il 2022. In questo modo vuole evitare che di fronte agli innumerevoli conflitti nel mondo, che seguiamo davanti al televisore, l’impegno per la pace ci sembri un dovere «degli altri», lontano da noi. Tutt’al contrario: proprio perché la pace va costruita ovunque e giorno per giorno, tutti noi abbiamo una responsabilità. La pace è, in altre parole, giustizia, e per realizzarla papa Francesco propone tre metodi: il dialogo, l’educazione e il lavoro.

Innanzitutto, il dialogo che significa ascolto e accordo, da sempre è il primo modo per superare i conflitti. Nello specifico, però, il Papa intende il dialogo dei giovani con gli anziani, per comprendere non solo il passato e quindi ciò che ci condiziona nell’oggi, ma anche la responsabilità per il futuro, che consiste nell’assicurare un’esistenza pacifica per le prossime generazioni su un pianeta vivibile.
Inoltre, la pace non è un prodotto tecnologico, e proprio per questo è sbagliata l’idea che la produzione delle armi potrebbe giovare alla pace. Questa idea non solo fu praticata durante la Guerra fredda ma fu anche la speranza di alcuni che contribuivano alla bomba atomica. Si sperava che un immenso potenziale di distruzione potesse «far ragionare» gli uomini e far loro scegliere la pace. Ormai sappiamo che queste strategie non portano vera pace, proprio perché non eliminano l’oppressione e l’abuso del potere. Ciò nonostante non riusciamo a investire meglio queste somme, in educazione e cultura.
Infine, sempre di più si soffre la mancanza di pace nell’ambito del lavoro. Il concetto svizzero della «pace del lavoro» è pertanto più attuale che mai per denunciare fenomeni come il working poor, la disoccupazione e tutte le condizioni che impediscono la realizzazione della persona tramite il lavoro. Invece, lavoro come realizzazione di pace significa integrazione e protezione sociale, sia dei cittadini sia dei migranti. Di conseguenza, l’imprenditore responsabile verso i lavoratori come verso l’ambiente, è un «portatore di pace».

Purtroppo la pace è spesso soltanto la «neve» che copre tensioni e ingiustizie insite nelle nostre relazioni: di fronte a una pace come mera apparenza, guerra e atti di violenza potrebbero addirittura essere giustificati «nel nome della giustizia». Questo ragionamento, però, è una trappola per ogni autentica realizzazione di pace. Il si vis pacem para bellum per papa Francesco deve essere sostituito dal si vis pacem para pacem: la pace è incondizionata. Ciò non significa che un giorno vivremo in un mondo privo di guerre e di ingiustizie: sarebbe un mondo non degli esseri umani. Possiamo solo avvicinarci il più possibile, con il nostro impegno per il dialogo, per l’educazione e per il lavoro. Per il resto, la pace è un «dono dall’alto», come sottolinea Francesco, ma non un’utopia.

Markus Krienke,
docente di etica sociale alla Facoltà di teologia di Lugano

A questo link il messaggio di papa Francesco per la LV Giornata Mondiale della Pace.

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/newsi/tre-pilastri-per-costruire-la-pace-duratura-dialogo-educazione-lavoro/