Una pagina di storia svizzera rivela un inedito Tisserant

Il card. Eugène Tisserant, insieme a mons. André Bouquin e al diplomatico francese François De Vial, ha ricevuto nel 2021 dallo Yad Vashem il riconoscimento postumo di «giusto fra le nazioni ». Nel 1939, non appena entrarono in vigore le leggi razziali in Italia volute da Mussolini, Tisserant che all’epoca era in Vaticano in qualità di segretario della Sacra Congregazione per le Chiesa Orientali, in un chiaro gesto di sfida – consegnò al dott. Guido Mendes, che era appena stato licenziato dall’Ospedale ebraico di Roma di cui era alla guida, la Medaglia d’Onore della Congregazione per le Chiese orientali, provvedendo poi Mendes e la sua famiglia con i documenti necessari all’espatrio.

L’importanza di un titolo: «giusto fra le nazioni»

Fino a oggi, sono circa 28.000 le persone che hanno ricevuto dallo Yad Vashem il riconoscimento di «giusto fra le nazioni». Nonostante E. Tisserant sia deceduto già da quasi 5 decenni, ha senso dare la notizia dell’onorificenza postuma, per due motivi. Il primo risiede nella rarità stessa dell’evento e nel prestigio (relativo, ma indiscusso) di cui gode Yad Vashem. Il secondo motivo è più personale e più «nostro», svizzero e ticinese. Eugène Tisserant, oltre ad avere svolto, con coraggio ed abnegazione durante la Seconda Guerra mondiale un’encomiabile opera umanitaria, è noto a chi scrive per un motivo molto meno eclatante ma, forse, in ottica ecumenica, non meno interessante. Fu infatti proprio Tisserant a concedere nel 1957 a Karl Hofstetter (19121991), un riformato di origini zurighesi convertitosi alla Chiesa cattolica nel 1935 e vissuto in Ticino tra il ’56 e il ›91 del Novecento, il cosiddetto Indulto (permesso) di biritualità. L’indulto di biritualità è di fatto un documento che permette, ai beneficiari, di celebrare in un rito diverso da quello latino. Forse non tutti sanno che nella Chiesa cattolica sono riconosciuti, oltre al rito romano- latino e a quello ambrosiano, anche altri riti, tra cui appunto il rito bizantino, probabilmente maggioritario nell’Oriente (Medio Oriente) cristiano e soprattutto tra gli Ortodossi e, più in generale, presso i Cristiani orientali.

Il contesto storico e la richiesta di Hofstetter

Hofstetter, divenuto sacerdote nel 1946 decise che avrebbe voluto dedicarsi a un «lavoro di riunificazione dei cristiani ». Ne parlò con i suoi Superiori e venne incoraggiato ad intraprendere questa strada. Iniziò così a svolgere un certosino lavoro relativo ai Riti riformati dei diversi Cantoni svizzeri. E questo con l’intento di facilitare ai Riformati che lo desiderassero il «ritorno » alla Chiesa cattolica. Egli riteneva che un rito, quello in uso presso i Riformati svizzeri da ormai 4 secoli, dopo che avesse subito gli aggiustamenti del caso nella parte consacratoria (l’epiclesi) avrebbe potuto continuare ad essere utilizzato. Hofstetter fece pervenire questi suoi studi e intenti a Roma.

Solo proselitismo o anticipazione del Concilio?

Il lettore che ci avrà seguiti sin qui, specie se di fede riformata, si sarà probabilmente meravigliato (o scandalizzato) che si sia parlato di «ritorno»; e questo mentre vi è, in ambito ecumenico, una specie di consenso sul fatto che si vuol escludere ogni forma di proselitismo. Ma qui si sta riferendo di tentativi effettuati ad un’altezza cronologica – gli anni ’50 del Novecento – dove questo atteggiamento non era ancora consolidato.

Va riconosciuto che il tentativo di Hofstetter appare come generoso e, per l’epoca, innovativo, originale. Cosa era infine originale (anzi meglio: coraggioso) in questi lavori di Hofstetter? Non certotantol’ideadifare«tornare» questi fratelli in seno alla Chiesa cattolica! Bensì il fatto che questo ritorno avrebbe potuto (secondo Hofstetter addirittura dovuto) essere favorito dal fatto che si «concedeva loro» (di nuovo: il linguaggio è rivelatore di un’epoca) di utilizzare un rito – che Hofstetter chiama «rito tigurino», dall’antico nome della città di Zurigo – ben noto a queste comunità.

In altre parole: si chiedeva sì un ritorno nell’alveo della Chiesa cattolica, ma assicurando rispetto per le usanze liturgiche e per quello che questo significava. In pratica, Hofstetter era convinto che vi fosse maggiore verità nella Chiesa che non nel Protestantesimo. Il che suppone che anche nel Protestantesimo vi fosse comunque «una certa» verità; ma senza negare ai potenziali convertendi (ci si passi il termine) quello che probabilmente Hofstetter considerava come una specie di «diritto naturale»: e cioè il diritto di celebrare in una lingua «comprensibile».

Il Concilio Vaticano renderà questi tentativi di Hofstetter superflui, anzi superati dalla Riforma liturgica stessa, avvenuta in quel periodo. Questa riforma, come è noto, introdusse l’uso delle lingue nazionali (o «vernacolari »). Rimane tuttavia il ricordo di una serie di testi liturgici approntati da Hofstetter e recentemente catalogati da chi scrive. Dei tentativi che, se pure denotavano qualche limite, erano compiuti in perfetta buona fede.

Il contributo decisivo del cardinale Tisserant

Tisserant, partendo dagli assunti di Hofstetter e condividendone (almeno in parte) lo spirito, intese tuttavia indirizzare quei lavori verso esiti pratici un po’ diversi, ossia verso quel «rito bizantino » di cui si è fatta menzione poc’anzi.Ineffetti,giàall’epoca,il rito bizantino permetteva – a differenza di quello romano-latino – l’uso delle lingue «volgari» o nazionali. Per K. Hofstetter si aprì così il vasto mondo delle Chiese orientali, con i suoi riti ma, soprattutto, con la sua specifica spiritualità. Ma qui si aprirebbe un altro argomento, che meriterebbe altri approfondimenti.

Eugène Tisserant: cenni biografici

Eugène Tisserant (Nancy, Francia, 24 marzo 1884 – Albano Laziale, Italia, 21 febbraio 1972) è stato un cardinale, arcivescovo e orientalista cattolico. Come cardinale decano presiedette due conclavi, quelli del 1958 (con l’elezione di Giovanni XXIII) e del 1963 (che elesse Paolo VI) nonché il Consiglio di Presidenza del Concilio Ecumenico Vaticano II. Tisserant partecipò anche al movimento per la canonizzazione, nel 1920, di Giovanna d’Arco e si batté per la normalizzazione dei rapporti fra la Francia e la Santa Sede dopo gli anni delicati seguiti alla separazione fra Stato e Chiesa disposta dalla legge del 9 dicembre 1905. Venne creato cardinale da Papa Pio XI nel concistoro del 15 giugno 1936. Il successivo 19 giugno fu nominato segretario della Sacra Congregazione per le Chiese Orientali, che guidò fino al 1959.

di Paolo Binda

Chiesa cattolica svizzera

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