Una Chiesa oggi più umile ridice Cristo al mondo. Intervista a p. Mauro Lepori, abate generale dell'Ordine cistercense

Gesù è il principio e il destino del mondo: è questo il nucleo della riflessione proposta in questa conversazione da padre Mauro Giuseppe Lepori: 62 anni, ticinese, abate generale dell’Ordine cistercense. Nelle scorse settimane è stato eletto vicepresidente dell’Unione Superiori Generali. Lo incontriamo per catholica e catt.ch.

Abate Lepori, a fine anno la Chiesa eleva l’inno di ringraziamento, il Te Deum: lei di cosa vuole rendere grazie a Dio? «Sebbene caratterizzato da una ripresa delle attività, quello appena trascorso è stato un anno difficile, appesantito dalle fatiche del 2020, primo anno di pandemia.

Visitando le comunità, incontrando le persone mi sono reso conto che ciò di cui bisogna anzitutto rendere grazie è il fatto di essere diventati più coscienti della nostra fragilità e della nostra vulnerabilità. Questa consapevolezza ha creato maggiore solidarietà fra le persone e fra le comunità, che hanno compreso la necessità di sostenersi reciprocamente, di andare avanti insieme anche se non appare chiaro dove conduca il cammino.

Questa incertezza circa il futuro, da tutti sperimentata, ha portato a gustare maggiormente il presente con i tesori quotidiani che esso offre: l’affetto degli amici, l’amore dei familiari, i gesti di cura e di dedizione compiuti e ricevuti. La pandemia ci ha aiutato a riscoprire meraviglie che un tempo, forse, erano date per scontate; meraviglie di cui è bello e giusto rendere grazie al Signore».

Come descriverebbe la stagione che sta attualmente vivendo il cattolicesimo?
«Negli ultimi anni la Chiesa ha dovuto riconoscere alcune sue fragilità e inadempienze. Ciò la sta inducendo a considerare se stessa con umiltà e ad aprirsi maggiormente a Dio.

Per noi credenti questo è il tempo della speranza, che chiede di abbandonarci con fiducia al Suo disegno più che ai nostri progetti, di contare su ciò che Lui vuole donarci più che sulle nostre forze.

Questo è il tempo della speranza anche perché è soprattutto stagione di semina: il Signore ha fiducia nella nostra fede e ci chiama ad annunciare il Suo Regno, a gettare il seme con letizia. In questo senso il nostro è un tempo appassionante poiché, nella fede e nella speranza, possediamo molto più di quanto crediamo di avere: possediamo ciò che il Signore vuole donare, non i nostri successi. L’umanità, che anche a causa della pandemia sta vedendo sgretolarsi molte certezze e si sente smarrita, ha bisogno di parole di speranza: oggi la Chiesa – più piccola, fragile e umile – è chiamata a testimoniare che Cristo ha già salvato il mondo e non ci abbandona mai».

Nella nostra epoca, in Europa, il Signore ha assegnato al popolo di Dio un compito che non è mai stato assegnato prima nella storia: l’annuncio del Suo Regno a una società istituzionalmente non religiosa. «Proprio così: quando nacque, il cristianesimo proclamava Cristo a società pagane ma religiose, che avevano le loro divinità. Oggi, per la prima volta nella storia, la società europea è istituzionalmente non religiosa. Questo, per certi versi, può essere un vantaggio poiché le persone conservano comunque la naturale religiosità che alberga in ogni essere umano: hanno bisogno di dare un senso alla vita, si interrogano su cosa accadrà dopo la morte, desiderano essere amate. Ciò chiede a noi cristiani di concentrarci, nell’annuncio, sull’essenziale, ossia su Cristo, Dio che si è fatto uomo, che ama tutti e dona la vita eterna. Allo stesso tempo, ci chiede di vivere la dimensione elementare dell’essere Chiesa: ciò significa costituire comunità fondate su Cristo, capaci di vivere della Sua presenza e di incarnare il Suo sguardo manifestando il Suo amore ad ogni singolo essere umano. In questo senso si comprende l’insistenza di papa Francesco sull’amore per i piccoli: esso mostra il volto di Dio che si prende cura di ogni figlio.

L’uomo europeo, che soffre poiché si sente parte di una massa senza volto, ha bisogno di sentirsi guardato, voluto, amato».

In Europa questo compito affidato dal Signore suscita apprezzamento ed entusiasmo? «Direi che prevale il lamento poiché si pensa al compito dell’annuncio e della testimonianza come a un dovere, una legge cui obbedire per essere a posto davanti a Dio. Invece questo compito non è altro che l’espressione della nostra partecipazione alla vita di Cristo, della nostra adesione a Lui, di cui abbiamo sperimentato l’amore e la cura. E dare corpo alla presenza di Cristo nel mondo, offrire il Suo sguardo e il Suo amore, è fare esperienza della pienezza più grande e gioiosa che l’essere umano possa vivere. Siamo fatti per Lui».

Lei viaggia spesso incontrando religiosi e fedeli di molti Paesi. Quali ricchezze mostra il cattolicesimo in Africa, in Asia, in America Latina che noi, in Occidente, ignoriamo? «Mi ha profondamente colpito, in particolare, il valore e l’importanza che le comunità africane, asiatiche e sudamericane – caratterizzate da una fede per certi aspetti più semplice e schietta di quella occidentale – assegnano alla relazione, allo stare insieme, alla cooperazione, all’incontro con l’altro, che apre all’incontro con Cristo. L’Occidente ha quasi del tutto smarrito questa essenziale dimensione dell’umano e pare non accorgersi di sentirne nostalgia».

Quest’anno è iniziato il cammino che condurrà al Sinodo (nel 2023) dedicato alla sinodalità: quale stagione apre per la Chiesa questo importante appuntamento? «Camminare insieme dietro a Cristo è dimensione costituiva della Chiesa: essa ha, sin dalle origini, natura sinodale. Papa Francesco ha compreso che è particolarmente urgente riscoprire questa dimensione in un tempo – quello attuale – nel quale la Chiesa appare talvolta appesantita da strutture e meccanismi che ne mortificano la missione.

Il Sinodo (con il percorso che lo precede) è come il restauro di un’opera d’arte: lavora pazientemente per riportare alla luce i colori originali della Chiesa. Sono i colori voluti da Cristo, resi brillanti dall’azione dello Spirito Santo.

Riscoprire la dimensione sinodale consentirà alla Chiesa di annunciare con rinnovata freschezza e autenticità la salvezza a tutta l’umanità per la quale Cristo è nato, è morto ed è risorto».

Cristina Uguccioni

Chiesa cattolica svizzera

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