Letture bibliche e coraniche a cura di Renzo Petraglio

Durante queste quattro settimane dell’Avvento, voglio prendere il mio tempo per leggere con te, amica mia, mio caro, una pagina del Vangelo di Luca e, più precisamente, il racconto dell’annuncio fatto a Maria. Ecco i primi versetti di questa pagina.

126 Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea chiamata Nazaret, 27 a una ragazza vergine fidanzata a un uomo della casa di Davide chiamato Giuseppe. La ragazza vergine si chiamava Maria. 28 Ed, entrando da lei, disse: «Rallegrati, tu alla quale è stata data – in modo definitivo – grazia. Il Signore è con te». 29 A causa di questa parola lei rimase molto turbata e si domandava quale potesse essere il senso di questo saluto. 30 E l’angelo le disse: «Non avere paura, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Luca 1,26-30).

In questa pagina Luca menziona, al verso 26, l’intervento fondamentale di Dio attraverso l’angelo Gabriele. In ebraico questo nome proprio significa «uomo di Dio», «Dio è forte», o ancora «Dio è la mia forza»[1]. Nell’Antico Testamento Gabriele è menzionato soltanto due volte nel libro di Daniele (8,16 e 9,21). In questi testi Gabriele spiega a Daniele, un giovane ebreo deportato a Babilonia, le visioni che questo giovane ha avuto. Del Nuovo Testamento poi Gabriele è menzionato ancora due volte. La prima volta, in Luca 1,19, Gabriele è colui che annuncia a Zaccaria la nascita di Giovanni Battista. La seconda volta è nel verso 26 di questo stesso capitolo, dunque nella pagina che ho citato appena sopra[2].

Attraverso l’angelo Gabriele, Dio manda il suo messaggio a «una ragazza vergine» (v. 27). La parola greca utilizzata nel Vangelo è «parthénos»[3]. Nell’Antico Testamento greco questa parola significa «giovane ragazza», una ragazza adolescente che non è sposata e che «non appartiene a un uomo» (Lev 21,3) e che non ha mai avuto delle relazioni con un maschio (Gdc 21,12). Sempre dell’Antico Testamento greco, occorre citare un passaggio del libro di Isaia. Qui la parola «parthénos» è utilizzata per evocare il segno miracoloso di salvezza dato al re Acaz: «la ragazza vergine (»parthénos») sarà incinta e metterà al mondo un figlio; tu gli darai, come nome, Emmanuele» (Is 7,14) che significa «Dio con noi». E questa traduzione greca – a differenza del testo ebraico che utilizzava la formulazione «la giovane donna» – sarà ripresa da Matteo 1,23[4] e anche nel nostro testo di Luca.

In questa pagina che ci occupa durante questa settimana, nel verso 27 Luca utilizza la parola «parthénos» all’inizio del versetto, prima del nome della giovane ragazza. Ma poi lo ripete e vuole sottolinearne il valore: è il titolo per eccellenza della persona alla quale l’angelo si rivolge con gran rispetto, la persona che la fede cristiana chiamerà «la Santa Vergine Maria»[5]. Quanto al nome proprio Maria, riprende la parola ebraica «Miriam», che significa «sovrana». E’ il nome della sorella di Mosè (Es 15,20). E nella pagina di Luca, Maria è una giovane ragazza di Nazaret, una città insignificante dalla quale – così si pensava – niente di buono può arrivare (Gv 1,46). Maria, ci dice il Vangelo, era «una ragazza vergine fidanzata[6] a un uomo della casa di Davide chiamato Giuseppe» (v. 27). E questo nome proprio significa «che Dio possa aggiungere»[7].

Il Corano

Nelle prossime settimane ritornerò su questa pagina del Vangelo di Luca. Ma oggi voglio leggere con te, mio amico, mia cara, un versetto del Corano, un versetto della sura 3, quella che viene chiamata «la famiglia di ›Imrân». Secondo la Bibbia, ›Imrân (in ebraico Amran) è il papà di Aronne, di Mosè e di Maria o Miriam (Es 6,20; Nu 26, 59; 1 Cr 5,29). Questa sura risale all’anno 9 dell’egira, cioè all’anno 631 dopo la nascita di Gesù, quando una delegazione cristiana di Najrân (un’antica città dello Yemen settentrionale) era venuta a Medina per incontrare Muhammad. «L’oggetto della loro visita era una presa di contatto con il profeta per informarsi sulla sua missione e sui rapporti di essa con il cristianesimo. Durante questo loro soggiorno i cristiani hanno potuto celebrare – cosa notevole – la loro messa nella moschea del profeta»[8].

In questa sura noi abbiamo una sezione nella quale il Corano evoca la nascita della Vergine Maria e l’annuncio fatto a Zaccaria; poi, nella sezione successiva, abbiamo l’annuncio fatto a Maria. Di questo racconto ecco il versetto iniziale.

42 In quel tempo gli angeli dissero: «O Maria! Dio ti ha scelta e ti ha purificata. Ti ha scelta tra le donne del mondo (Sura 3,42)[9].

In questo versetto e anche nel seguito di questa sura, il Corano non menziona Gabriele[10] ma utilizza il plurale «gli angeli» E gli angeli si rivolgono alla giovane ragazza chiamandola per nome: «Maria». Maria è la sola donna della quale il nome ricorre, e molto frequentemente[11], nel Corano. Lei è la figlia di ›Imrân (menzionato nel verso 35 della nostra sura), un nome che corrisponde a Joachim della tradizione cristiana[12]. Maria gode di una venerazione speciale nel Corano e nella devozione islamica. Secondo una parola di Muhammad, solamente quattro donne hanno raggiunto la perfezione spirituale: Assia, la moglie del faraone, Maria, la mamma di Gesù, Khadîja, la prima moglie del profeta Muhammad, e Fâtima, la sua prima figlia[13]. Ma Maria gode di una condizione speciale: in effetti il Corano (sura 5, verso 47) le attribuisce la qualifica «siddiqat», dunque «santa» o «proprio veridica»[14]. Lasciamoci prendere, durante questa settimana, dalla perfezione e dalla santità di questa donna. E poi, la settimana prossima, leggeremo insieme il messaggio che lei ha ricevuto.

Cordialmente

Renzo


[1] Il nome «Gabriele» è composto dalla radice «gbr» che significa «forza» (e talvolta «forza maschile», «uomo»), e «El» che, come Allah in arabo, significa «Dio».

[2] Cf. la voce «Gabriel», in O. Odelain et R. Séguineau, Dictionnaire des noms propres de la Bible, Cerf, Paris, 2002, p. 142.

[3] Per questa parola greca sono riconoscente al mio antico professore Ceslas Spicq e alla sua opera: C. Spicq, Notes de lexicographie néo-testamentaire. Supplément, Éditions universitaires – Vandenhoeck & Ruprecht, Fribourg – Göttingen, 1982, p. 515ss sotto le voci «parthenía, parthénos».

[4] Cf. A. Mello, Isaia. Introduzione, traduzione e commento, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano), 2012, p. 87-89.

[5] Così C. Spicq, O. cit., p. 522.

[6] Per questo participio perfetto passivo, cf. C. Spicq, Notes de lexicographie néo-testamentaire. Supplément, Éditions universitaires – Vandenhoeck & Ruprecht, Fribourg – Göttingen, 1982, p. 488s, alla voce «mnêsteuô».

[7] S. Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Luca, Nuova edizione, EDB, Bologna, 2017, p. 31.

[8] Così scrive Si Hamza Boubakeurnel suo volume Le Coran. Traduction française et commentaire, par, Maisonneuve & Larose, Paris, 1995, p. 201.

[9] Per questa traduzione e i rispettivi riferimenti alla tradizione ebraica e cristiana, cf. Le Coran. Texte arabe et traduction française, par ordre chronologique selon l’Azhaar, avec renvoi aux variantes, aux abrogations et aux écrits juifs et chrétiens, par S. A. Aldeeb Abu-Sahlieh, L’Aire, Vevey, 2009, p. 423.

[10] Nel Corano, Gabriele – Jibrîl in arabo (che significa «Forza di Dio») – è menzionato tre volte: 2,97.98 ; 66,4. Cf. C. M. Guzzetti, Il Corano. Introduzione, traduzione e commento, Elledici, Leumann (Torino), 2008, p. 279, nota 2.

[11] Cf. A. Godin et R. Foehrlé, Coran thématique. Classification thématique des versets du Saint Coran, Éditions Al-Qalam, Paris, 2004, p. 250-252.

[12] Cf. M. Gloton, Jésus le Fils de Marie dans le Coran et selon l’enseignement d’Ibn ›Arabî, Albouraq, Beyrouth, 2006, p. 111.

[13] Cf. Abû Ja›far Muhammad Ibn Jarîr at-Tabarî, Commentaire du Coran. Abrégé, traduit et annoté par P. Godé, Éditions d’art les heures claires, Paris, 1986, tome III, p. 76. Cf. aussi Il Corano, a cura di Alberto Ventura. Commenti di Alberto Ventura, Ida Zilio-Grandi e Mohammad Ali Amir-Moezzi, Mondadori, Milano, 2010, p. 466.

[14] Cf. M. Gloton, Op. cit., p. 224. Cf. aussi Il Corano, a cura di Alberto Ventura. Commenti di Alberto Ventura, Ida Zilio-Grandi e Mohammad Ali Amir-Moezzi, Mondadori, Milano, 2010, p. 466.

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