Don Erico Zoppis: «Contento di essere prete, ieri e oggi»

Ottant’anni e tante esperienze che sembrerebbe impossibile racchiuderle in un’unica vita. Affascinante ascoltare i ricordi di don Erico Zoppis che si snodano in un fiume di parole così dettagliato, difficile da trasmettere in poche righe. Come quando racconta dell’arrivo nel 1951 dei preti di don Orione a Tesserete, un incontro determinante per la sua vocazione, è qui infatti che «cominciai ad avvicinarmi all’idea della vita sacerdotale», ci confida. Don Erico entra così nel seminario minore San Carlo a Besso e a 19 anni frequenta la scuola reclute per il militare. È aiutando dei superiori del seminario che capisce realmente la sua chiamata al sacerdozio. Dopo l’ordinazione, nel 1966, viene destinato alla parrocchia del Sacro Cuore a Lugano: «in questi primi sette anni di sacerdozio – racconta – ho compreso realmente la mia missione. Erano anni particolari, da novello prete vivevo il tempo del Concilio con grandi attese e speranze di rinnovamento. Alla fine degli anni ’60 a Lugano, insieme ad altri preti lavoravamo con i giovani e avevamo rimesso in piedi la Gioc, la Gioventù Operaia Cristiana. Fondamentale è stato poi l’incontro con la spiritualità dei Focolari».

Dopo l’esperienza al Sacro Cuore, continua don Erico, «sono stato trasferito a Caslano come parroco per quattro anni, poi mi è stato chiesto di diventare rettore del Seminario minore Pio XII per cinque anni. Qui aiutavo il vescovo Togni come cerimoniere e mi occupavo anche della parrocchia di Vico Morcote. Da lì sono stato mandato a Pambio, Paradiso e Pazzallo. Dopo quattro anni mi hanno chiesto di prendere la parrocchia di Cristo Risorto da cui ero partito e dove sono rimasto per quindici anni. Infine, tredici anni a Tesserete». Ma l’impegno della parrocchia non è mai stato l’unico nella vita di don Erico: accanto alla cura della comunità, porta avanti negli anni numerosi incarichi come quello di cappellano militare, ruolo che ricopre per ben 34 anni: «Inizialmente non volevo, è stato il vescovo a chiedermi di servire i cristiani che erano nell’esercito». Nel frattempo, don Erico continua anche l’impegno nell’UNITAS, l’Associazione ciechi della Svizzera italiana, dove «ho lavorato per 25 anni come assistente: è stata per me una scuola di vita, insieme all’istituto don Orione».

Un prete tra la gente dunque, convinto che uno dei punti fondamentali dell’essere presbitero sia l’incontro con le persone: «Ogni anno mi impegnavo a fare visita nelle case, come anche il vescovo ci invita a fare nella sua ultima lettera pastorale. Compito del parroco oggi è quello di farsi conoscere nel suo territorio, andare a trovare le persone e con grande apertura di cuore farsi loro incontro. Ho una grande cura verso gli anziani e i malati; anche oggi che sono in pensione ricevo molte chiamate e lettere». Una cura quella nei confronti dei più fragili che don Erico ha vissuto anche nell’esperienza di assistente spirituale a Lourdes.

Ma come si fa a conciliare tutto questo? «Me lo sto chiedendo adesso che mi sono fermato», scherza don Erico. «Ho sempre trovato la forza nella preghiera quotidiana e nella comunità di preti che mi ha sempre sostenuto. Credo che i preti di oggi debbano riscoprire la vita di comunità, altrimenti rischiano di rimanere nella superficialità e nell’individualismo. Inoltre, sono sempre stato in grande comunione con tutti i vescovi, ben sette, ai quali ho sempre sottoposto i miei dubbi per cercare di scoprire il significato di essere uomo, cristiano e prete».

La montagna è una delle passioni di don Enrico.

E oggi com’è la sua quotidianità? «È molto cambiata; ora vivo con mia sorella, ho dato spazio alla preghiera e alla meditazione; leggo molto, mi tengo aggiornato, riposo, ascolto le persone. La montagna rimane la mia grande passione che continuo a praticare: è qui che ritrovo un equilibrio interiore. Ho imparato da tempo ad essere sempre contento, nonostante le difficoltà incontrate nel cammino e le situazioni dolorose».

Silvia Guggiari

Chiesa cattolica svizzera

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