Dallo sport al giornalismo, storie di rifugiati: la rinascita dopo la fuga

Domenica 26 settembre la Chiesa celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Un’occasione per ribadire ancora una volta la necessità di promuovere i diritti di queste persone, raccontando anche le storie di chi ha iniziato una nuova vita in un Paese diverso grazie al supporto di istituzioni, volontari e organizzazioni laiche o religiose.

Una nuova vita. Può essere questa l’espressione per indicare il percorso iniziato da chi ha dovuto affrontare quello che viene definito come viaggio della speranza o della disperazione, come fuga o tentativo di migliorare la propria condizione. Perché la speranza non conosce confini, ma quando la terraferma fa più paura del mare aperto, a prevalere forse è proprio la disperazione. Quando si deve lasciare tutto per ripartire in un luogo sconosciuto, dove si parla una lingua diversa e la rete dei pregiudizi è pronta a raccogliere chi, invece, cerca solo accoglienza. Rinascere, dunque, vuol dire cominciare di nuovo e spesso per le persone migranti e rifugiate ciò è possibile grazie a chi è disposto a tendere la mano. Ad ascoltare ed offrire opportunità.

Una Giornata istituita nel 1914 

La Chiesa celebra domenica 26 settembre la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, una ricorrenza che segna l’ultima domenica del mese nel calendario cattolico a partire dal 1914, anno in cui venne istituita. Il titolo del Messaggio del Papa per questa 107.ma Giornata è «Verso un noi sempre più grande». Nel testo, pubblicato lo scorso mese di maggio, Francesco illustra subito il motivo di questo titolo: 

Nella Lettera Enciclica Fratelli tutti ho espresso una preoccupazione e un desiderio, che ancora occupano un posto importante nel mio cuore: «Passata la crisi sanitaria, la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica. Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più «gli altri», ma solo un «noi»». Per questo ho pensato di dedicare il messaggio per la 107a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato a questo tema: «Verso un noi sempre più grande», volendo così indicare un chiaro orizzonte per il nostro comune cammino in questo mondo.

Il Papa, nel parlare di una «umanità intera» e non più frammentata, rivolge un forte appello ai cattolici perché realizzino una «comunione nella diversità», invitandoli a costruire quanto indicato già da San Paolo: 

Per i membri della Chiesa Cattolica tale appello si traduce in un impegno ad essere sempre più fedeli al loro essere cattolici, realizzando quanto San Paolo raccomandava alla comunità di Efeso: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo».

No al razzismo 

Parlare di persone migranti e rifugiati vuol dire anche affrontare il tema del razzismo. Proprio questa settimana monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, intervenendo all’incontro di alto livello delle Nazioni Unite per commemorare il 20.mo anniversario della Dichiarazione di Durban e del Piano d’azione incentrato su Riparazioni, giustizia razziale e uguaglianza per le persone di origine africana, ha ribadito come il razzismo sia un male da estirpare. »Molte persone di origine africana nel mondo – ha affermato il presule – sono migranti o rifugiati che, dopo aver lasciato la loro casa o essere stati costretti a lasciarla, nei Paesi di destinazione trovano razzismo e xenofobia, discriminazione e intolleranza invece che il sostegno di cui hanno bisogno». Ribadendo l’impegno della Santa Sede a «combattere ogni forma di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e intolleranza», Gallagher ha ricordato che il razzismo «è radicato nell’errata e infausta asserzione che un essere umano ha minore dignità rispetto a un altro». 

Buba Jallow riparte «di corsa» 

Classe 1997, guineano. Buba Jallow sa cosa significa correre. Fuggire. Sa anche il significato della parola «salvezza», perché quando «ero esaurito, non ce la facevo più, ho intrapreso questo viaggio e poi in mare aperto ci hanno salvato i militari», dice nell’intervista di Luca Collodi a Radio Vaticana – Vatican News. Ad aiutarlo sono stati gli uomini della Marina italiana, che ha tratto in salvo lui e tanti altri in uno dei numerosi sbarchi non riusciti, ma fortunatamente non finiti in tragedia come troppo spesso accade quando le onde diventano più forti del coraggio. Oggi il ventiquattrenne vive in Italia e fa parte della squadra di Athletica Vaticana, una realtà che testimonia concretamente, sulle strade e in mezzo alla gente, il volto solidale dello sport», di cui Papa Francesco ha tracciato il profilo definendola »una testimonianza concreta di come dovrebbe essere lo sport: un ponte di pace che unisce donne e uomini di religioni e culture diverse, promuovendo inclusione, amicizia, solidarietà, educazione». Vivendo la passione sportiva «come un’esperienza di unità e di solidarietà». Ed è proprio con questo stile solidale e spirituale aperto a tutti, in amicizia, che – con Papa Francesco – Athletica Vaticana invita tutti, ma proprio tutti, «a correre, insieme, la corsa della vita».

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